Si è dimesso il ministro della Giustizia
Nell’ingarbugliata situazione egiziana, gli ultimi giorni hanno portato alla ribalta alcuni fatti che non devono passare inosservati all’opinione pubblica occidentale e al mondo cristiano: le dimissioni del ministro della Giustizia e l’annuncio della prossima visita del patriarca copto-ortodosso a papa Francesco.
Il ministro della Giustizia Ahmed Mekki, vicino all’ala riformista, ha rassegnato le dimissioni come atto di protesta nei confronti degli «gli attacchi alla magistratura». Da mesi, come si ricorderà, è in corso un braccio di ferro fra il governo Morsi ed i magistrati e, all’interno di questo quadro, non è chiaro se le dimissioni significhino un colpo per il governo, che perde uno dei suoi membri, o se Mekki con questo gesto intenda dissociarsi dall’esecutivo per lanciare un chiaro segnale che la magistratura non intende piegarsi alle pressioni islamiste. Il ministro non è il primo a dimettersi da una carica istituzionale di primo piano. Nel mese di dicembre, infatti, era stato suo fratello, Mahmoud, a lasciare la carica di vice-presidente spiegando che l’attività politica e quella giudiziaria, nel cuore dello scontro sul tema della nuova costituzione, erano in chiaro contrasto.
Di fatto, continua il braccio di ferro fra un’amministrazione, quella islamista dei Fratelli musulmani, che conquistato il potere con elezioni democratiche pretendono ora di gestire la transizione fra la dittatura Mubarak ed il nuovo corso democratico. Il resto del Paese si trova sull’altra sponda anche se con posizioni diverse. Il Fronte di Salvezza Nazionale (FSN) continua a coagulare l’opposizione anti-islamista, trovando negli ultimi tempi un prezioso alleato nei sindacati, particolarmente quello dei lavoratori del turismo, settore in piena crisi a causa dello scarso flusso di stranieri in un Paese giudicato ad alto rischio di sicurezza. Una legislazione veramente islamista e, in definitiva, anti-occidentale significherebbe il crollo definitivo del settore e porterebbe alla fame migliaia di famiglie, che già trovano difficile sbarcare il lunario in questo momento. La magistratura si aggiunge all’opposizione con il suo sciopero proclamato nei momenti di tensione fra la presidenza e la Corte costituzionale.
La posizione di Ahmed Mekki, come paladino dell’indipendenza della magistratura risale ancora all’epoca Mubarak e non ha conosciuto interruzione nel corso della rivoluzione e nel governo Morsi, all’interno del quale Mekki è stato fra i pochi ministri “indipendenti” .
La vicenda del Ministro della Giustizia e delle sue dimissioni si è intersecata con l’assoluzione parziale di Mubarak dall’accusa di essere corresponsabile della morte di almeno 800 manifestanti. Mubarak, tuttavia, continua ad essere detenuto con l’accusa di maltrattamenti e malversazione. Nonostante i Fratelli Musulmani abbiano accettato una sentenza di compromesso, la piazza ha contestato la decisione e la tensione ha creato scontri violenti tra militanti islamisti e opposizione. La stessa posizione reale del ministro dimissionario è al centro di un contenzioso da parte dell’opposizione e dell’opinione pubblica. Si cerca di capire, nella questione Mubarak, sia favorevole all’assoluzione dell’ex-premier e, in qualche modo, vicino agli islamisti e alla loro posizione di discreta benevolenza verso Mubarak.
Nel frattempo, il 19 aprile Hussein Anan, giudice a Matay, nel governatorato di Minya (Alto Egitto), ha condannato a 80 frustate un uomo trovato in stato di ubriachezza, sulla base, non del codice penale, ma dei versetti 90 e 91 del capitolo al-Ma'eda del Corano. Si tratta delle Sure nelle quale il Profeta condanna l'alcol e il gioco d'azzardo. La giustificazione giuridica il giudice egiziano l’ha attinta dall’art. 2 della nuova costituzione, che considera i detti coranici come fonte di diritto. All’interno della polemica, scoppiata per questo caso, molti esperti han fatto notare che non esiste nel Corano un riferimento chiaro alla fustigazione come pena da comminarsi a chi beve.
In effetti, appare chiaro che la maggioranza dell’opinione pubblica, in particolare "la maggior parte dei giudici e la popolazione di Minya e del resto del Paese è contro l'imposizione della sharia". Pare che anche il procuratore generale Talaat Abdallah, nominato in novembre dal presidente Morsi, abbia contestato la sentenza di Anan. Il giudice è ora indagato e la pena in questione è stata sospesa. Il presunto colpevole, arrestato, è attualmente sotto custodia e probabilmente verrà rilasciato. Lo stesso Mahmoud Al-Hefnawy, portavoce della Procura generale del Cairo ha dichiarato che "legge stabilisce che nessun crimine o punizione possono essere riconosciuti senza un testo giuridico. In Egitto non si applica la sharia islamica, a prescindere dalla posizione della costituzione verso di essa".
Mentre continuano le tensioni fra i vari ambiti dell’amministrazione e diverse fazioni all’interno della popolazione, è arrivato l’annuncio che il prossimo 11 maggio ci sarà l'attesa visita in Vaticano del papa copto Tawadros II, che da alcuni mesi è alla guida spirituale dei cristiani dell'Egitto. Si tratta del primo viaggio fuori dell’Egitto del nuovo papa e non può sfuggire il significato che esso coincida con la visita al soglio di Pietro e al vescovo di Roma, anche se, nel corso del viaggio Tawadros visiterà alcune comunità copte d'Europa.
Quello annunciato per maggio sarà il secondo incontro fra il vescovo di Roma ed il papa copto, dopo quello avvenuto fra Shenouda III – il predecessore di Tawadros – e Paolo VI nel 1973. Si trattò di un incontro importante perché suggellato da una dichiarazione comune. Il gesto, tuttavia, fino ad oggi più significativo fra le due chiese, risale al 1968, quando papa Montini decise di donare le reliquie di san Marco, che la Chiesa copta considera come proprio fondatore. Ma l’incontro più recente resta quello del 24 febbraio 2000, fra Giovanni Paolo II e lo stesso Shenouda III, avvenuto presso la residenza di quest’ultimo al Cairo.