Si avvicina Natale, anche in Ucraina
Accade anche quest’anno: i cristiani sono in guerra tra di loro. Non è una novità, né sarà l’ultima volta. Non siamo in guerra coi musulmani arabi, né coi i mongoli sciamanici, nemmeno contro qualche popolo africano che segue una religione tradizionale. Siamo in guerra tra europei e tra cristiani, o se volete tra giudeo-cristiani, perché alla guerra partecipano dalle due parti anche fratelli ebraici. Ma, nella sostanza, quella del Donbass è una guerra tra cristiani. Il bello è che, pur in questo stato di conflitto, le folle dei seguaci di Cristo stanno per entrare nelle loro chiese per festeggiare la nascita di Gesù e in molti casi, soprattutto in prossimità della linea del fronte, pregheranno che Dio dia loro la vittoria sui nemici. Quindi altri cristiani sono il nemico, anche se Gesù ha detto di amare proprio il nemico. Ohibò. Si celebrerà il Natale anche sui campi di battaglia. I cappellani militari celebreranno sollevando il calice del sangue di Cristo, mentre il mitra sarà poggiato sull’altare. I soldati, nonostante il freddo pungente, si scopriranno il capo e terranno il loro cappello di lana o di pelo nelle loro mani febbrili, con un certo imbarazzo. Ma in cuor loro, più che pregare per la vittoria sul nemico, probabilmente e in gran numero pregheranno perché la guerra semplicemente finisca. In questo modo saranno e si sentiranno veritieri seguaci del Cristo, dopo aver messo tra parentesi la loro fede – per volontà o per costrizione, il che rende i loro casi profondamente diversi dal punto di vista etico, perché sparare per convinzione profonda o per odio è una cosa, sparare per dovere, obbedendo agli ordini dei loro superiori, è tutt’altra faccenda −, contraddicendo il dettame evangelico dell’amore reciproco, della pace, della necessità di farsi artigiani di pace e non artefici di guerra.
Intendiamoci, la Bibbia è intrisa di violenza fratricida, sin dal primo libro, dalla Genesi, che racconta dell’omicidio di Abele da parte del fratello Caino. E la storia ci trasmette una serie infinita di conflitti nati nel nome del Dio cristiano, combattendo altri cristiani che si rifacevano allo stesso Dio per cercare appoggi il più possibile altolocati. La dottrina ha cercato di giustificare la guerra, certe guerre, definendola addirittura giusta, ma che imbroglio! Soprattutto quando le guerre vengono combattute nel nome di Cristo, appunto. «Dio è con noi», si grida al di qua e al di là della trincea, e tutti hanno in fondo ragione, perché Dio è sempre con il suo popolo, ma certo non nel nome del sangue.
Si dice: è la politica che perverte i cuori, e anche la religione quindi. È la sete di potere e il suo abuso che portano a trasformare gli agnelli in lupi, e le vittime in carnefici. È vero, sono gli uomini e i loro pensieri confusi che mutano l’amore in odio, la benevolenza in malevolenza. Sì, certamente l’incapacità di rimanere nell’ambito del rispetto civile, se non nella pace, è insita troppo spesso nella cultura assorbita dall’uomo e dalla donna, l’aggressività non è un optional della vita umana, ma un elemento che entra nella stessa sfera religiosa, trasformandola da fattore di armonizzazione sociale a strumento di frantumazione, di disgregazione. E a queste tendenze umane, umanissime, spesso e volentieri i sacerdoti di ogni religione s’inchinano come se fosse stato Dio stesso a spingerli alla lotta coi fratelli. Spesso, oltretutto, i sacerdoti più attrezzati teologicamente dei loro simili laici, trovano il modo di giustificare l’apertura della guerra. È molto ma molto più difficile disinnescare la tendenza aggressiva della società, trasformare gli istinti identitari in pratiche dialogiche ben più impegnative.
E così ci si troverà anche in questo Natale europeo a pregare il proprio Dio che sconfigga i nemici, da una parte e dall’altra. Ma c’è da sperare che s’ingrossi a dismisura − non solo nei Paesi direttamente in guerra, ma anche in quelli che vi assistono senza “sporcarsi le mai”, inviando armi o favorendo il contrasto – la schiera di chi chiede semplicemente la fine della guerra. Nella giustizia, certo, ma la somma ingiustizia è la morte dei figli prediletti di Dio che siamo noi umani.
—
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
—