“Shame”, la vergogna
Per il secondo appuntamento con i film del weekend, il secondo - e assai discusso - lungometraggio del regista inglese Steve McQueen
Discusso e mediatizzato per l’erotismo esplicito di diverse scene, il film è il secondo lungometraggio, dopo Hunger del 2008, del regista inglese di colore Steve McQueen. Il racconto è un’indagine su un trentenne affermato, ma in realtà dipendente in modo compulsivo dal sesso, in ogni modo. È un’analisi di un fenomeno assai diffuso nel mondo occidentale, dove l’uomo, nel caso il giovane Brandon (Michael Fassbender, Coppa Volpi come miglior attore a Venezia 2011) ha lo sguardo oscurato dalla possessiva ricerca di sé stesso ed è incapace di un autentico rapporto, non solo di amore, ma semplicemente umano. Così lo vediamo passare da una donna all’altra, infilarsi meccanicamente nei luoghi del piacere, rifiutarsi di rispondere alla richiesta di aiuto di un’amica morente.
Quest’uomo-macchina indurita e solitaria si vede all’improvviso capitare in casa la sorella Sissy (Carey Mulligan), tanto disinvolta nei rapporti sentimentali quanto oppressa da un bisogno immenso di affetto. La sua presenza-richiesta mette in crisi Brandon che la sfugge in ogni modo, finché la ragazza tenta i l suicidio. Di fronte al dramma, il giovane cerca un recupero di coscienza, di valori affettivi sinceri. La scena conclusiva di lui che invoca, sommessamente e quasi come ultima chance il nome di Dio sotto la pioggia (purificatrice?) segna forse il tentativo di una richiesta di aiuto, di una possibilità diversa di vivere.
Coraggioso e sconcertante insieme, il film, come dice il sottotitolo “vergogna”, ha un suo tono morale che, al di là di un certo voyeurismo di fondo, vuole dare un segnale di una seconda possibilità nella vita di un uomo prigioniero di sé stesso.
Quest’uomo-macchina indurita e solitaria si vede all’improvviso capitare in casa la sorella Sissy (Carey Mulligan), tanto disinvolta nei rapporti sentimentali quanto oppressa da un bisogno immenso di affetto. La sua presenza-richiesta mette in crisi Brandon che la sfugge in ogni modo, finché la ragazza tenta i l suicidio. Di fronte al dramma, il giovane cerca un recupero di coscienza, di valori affettivi sinceri. La scena conclusiva di lui che invoca, sommessamente e quasi come ultima chance il nome di Dio sotto la pioggia (purificatrice?) segna forse il tentativo di una richiesta di aiuto, di una possibilità diversa di vivere.
Coraggioso e sconcertante insieme, il film, come dice il sottotitolo “vergogna”, ha un suo tono morale che, al di là di un certo voyeurismo di fondo, vuole dare un segnale di una seconda possibilità nella vita di un uomo prigioniero di sé stesso.