Shalom, padre Carlo Maria

I dieci anni di assenza di Carlo Maria Martini da Milano non hanno scalfito l’affetto, la stima e la gratitudine della città per il suo arcivescovo. In più di centocinquantamila hanno reso omaggio all’uomo mite e coraggioso, aperto al dialogo con tutti
cardinale martini

È giovedì notte. Una notte ancora senza nuvole. La voce che il cardinale Carlo Maria Martini è arrivato alle sue ultime ore di vita comincia a circolare tra gli amici più intimi. Fermo sotto un lampione, rivolto verso la sua finestra, un uomo recita i salmi. Così racconta Silvano Fausti, filosofo e teologo gesuita: quella persona «era stata mandata dal rabbino Laras. Non aveva suonato o bussato. Con discrezione, era rimasta fuori, in preghiera per l’amico morente».
 
Tardo pomeriggio di sabato. A Milano comincia a piovere. Una folla silenziosa comincia a mettersi in fila per salutare il cardinale in Duomo. I dieci anni di assenza di Carlo Maria Martini da Milano non hanno scalfito l’affetto, la stima e la gratitudine della città per il suo arcivescovo. Un risveglio repentino di ricordi e di esperienze ha messo in moto la città. In più di centocinquantamila renderanno omaggio all’uomo mite e coraggioso, aperto al dialogo con tutti.
Mi perdo tra la folla. Sono colpita dalla varietà dei volti, dalla compostezza, da quel silenzioso attendere anche per ore. Uomini e donne di ogni condizione, cresciuti in parrocchia o lontani dalla fede, sacerdoti e laici, politici, uomini di cultura, giornalisti e poi giovani che forse hanno solo ricordi sbiaditi di bambini. Molti di loro non sono mai entrati in chiesa, lo si legge nei messaggi lasciati scritti, molti si confessano, qualcuno chiede ai sacerdoti presenti di insegnargli il Padre Nostro, ormai dimenticato. Molti sono gli ex ragazzi delle "Scuole della Parola", oggi quarantenni, che si sono formati al suo pensiero e alla sua sapienza.
 
Lunedì mattina. Pioggia battente. Da giorni si dice però che quella non sia pioggia ma il pianto dei milanesi per la partenza di padre Carlo Maria.
Un folto gruppo di fedeli ebrei si è dato convegno in piazza Fontana. Nel giorno dell’ultimo saluto al cardinale la Comunità ebraica di Milano, guidata dai suoi quattro rabbini, «ha invitato tutti gli ebrei di Milano e ogni donna e uomo di buona volontà che ha amato Carlo Maria Martini ad una pubblica recita orante dei Salmi (Tehilim), in memoria di questo amatissimo amico».
Sono circa una ottantina, intonano i salmi, con composta partecipazione. È scomparso un amico amato, molto amato, cui tributare il massimo riconoscimento. Ma la pioggia non dà tregua e così qualcuno in arcivescovado decide di aprire le porte e fare entrare sotto un portico coperto il gruppo di ebrei raccolti in preghiera.
Succede anche questo in questi giorni a Milano e mentre cammino mi domando se il primo miracolo di padre Carlo non sia quello di avere reso Milano un po’ più simile alla sua amata Gerusalemme.
 
Gerusalemme, icona di ogni città. Martini sapeva amare le persone con amore e dedizione infinita. Ma sapeva amare con pari intensità la vita pulsante dentro la città. Ricordo un suo toccante discorso al ritorno da un viaggio. Lungo la strada che porta dall’aeroporto in città, si era soffermato a guardare le luci delle case illuminate per la notte. Ogni luce una casa, ogni casa una famiglia con la sua vita, la sua sofferenza, il suo destino. Quanti dolori si celano nelle case, quante fatiche. Ma Carlo Maria non si era accontentato di passare tra le strade. Nei suoi ventidue anni di magistero, si era fatto prossimo entrando nelle comunità, nelle case, nelle vite degli uomini e delle donne reali.
«Bisogna imparare a leggere la città con occhio caritatevole, paziente, misericordioso, amico, propositivo, cordiale. Bisogna riconoscere il bene profondo che c’è nel cuore di tanta gente della città», scriveva nella sua lettera pastorale Alzati, va’ a Ninive la grande città!
 
Shalom, padre Carlo. Continueremo lungo la tua strada, continueremo a cercare Gerusalemme tra le nostre case. Shalom, quest’anno farai Pasqua a Gerusalemme.

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