Shakespeare a colori

Non bisognerebbe perderla, la rassegna ferrarese su Shakespeare. Non tanto per la ricchezza e varietà del contenuto: l’interpretazione del Bardo in dipinti e disegni di artisti fra Sette e Ottocento. Lavori, certo, di grande interesse, a documentare un gusto, una sensibilità, un approccio a William che, sotto certi aspetti, ancora ci appartiene. Quello che però conduce l’osservatore, opera dopo opera – visionaria, romantica, classicheggiante o simbolista che sia – come filo conduttore è una domanda: perché Shakespeare sia sempre tanto attuale: chi sia per noi oggi il drammaturgo, scomparso nel 1616, uno dei grandi all’epoca, ma non certo considerato il massimo. Al contrario, oggi lui per noi è un mito, un genio dell’occidente: come Omero, come Dante. Passando fra le tele, sentiamo familiari ormai i suoi personaggi: Füssly che interpreta le allucinazioni demoniache di Lady Macbeth o i terrori di Amleto, Hayez che saluta Romeo e Giulietta con lirismo da melodramma, Hogarth ironico sul grosso Falstaff, Blake che disegna luminosamente Riccardo III e gli spettri o le visioni di Enrico IV, Turner cosmico nella grotta della regina Mab. Scopriamo interpreti, allestimenti, a documento di una fama che, come sovente accade, è il tempo a rivelare nella sua verità. E la verità sul “teatro della vita” di Shakespeare è qualcosa di assai profondo e ricco, che va ben oltre il momento tardorinascimentale (o prebarocco) della sua vicenda umana e artistica. La poesia di William è infatti universale, come quella di Omero, dei tragici greci e di Dante. Ma in Shakespaeare c’è qualcosa di assolutamente nuovo. Se il mondo greco contemplava poeticamente la vicenda umana come lotta dell’uomo contro un fato misterioso, se Dante “vede” il pellegrinaggio dell’umanità come ascesa al divino, William si proietta dentro il cuore dell’uomo, ad indagarne il mistero, ad estrarne le “passioni”, esaltandone la libertà. La matrice cristiana del rinascimento sta alla base di questa indagine sulla libertà dell’uomo: perché è dentro di lui che si operano le scelte. Così Macbeth può decidere per il bene o il male, Giulietta per l’amore fedele o infedele, Amleto per la verità o la menzogna, Otello tra fede e sospetto… Di qui, la verità dei sentimenti, dai più puri ai più perfidi, che la poesia di Shakespeare affronta, non indietreggiando davanti a nulla di ciò che circonda l’uomo: anche le superstizioni, la magia, la tentazione. Ma pure il gioco, lo scherzo, l’ironia. Con il risultato che il mondo shakespeariano diventa il nostro, i suoi personaggi il nostro ritratto, le vicende sul palcoscenico – anche i miti o i fatti più lontani nel tempo – storie di vita: talora meditazioni altissime sull’esistenza. Perché William, come i grandi, insegna senza voler ammaestrare, riflette senza voler pesare: lascia sempre qualcosa di suo nella nostra anima. Naturale che un simile teatro divenga patrimonio universale e fonte d’ispirazione di altre forme d’arte. La musica: da Purcell a Rossini, da Verdi a Gounod, da ? Caikovskij a Mendelsshon a Liszt. Il cinema: da Welles a Zeffirelli, da Branagh a Greenaway, passando per Laurence Olivier e Akira Kurosawa. Con la libertà di reinterpretazioni, adattamenti, dissacrazioni pure, come si fa con i topoi della cultura, al pari della leonardesca Gioconda. Perché Shakespeare è di tutti. Si potrebbe dire di lui quel che si disse di uno che “lo conosceva bene”, Verdi: “pianse ed amò per tutti”. Con qualcosa di più: un senso di speranza che sempre, anche dopo la tragedia più nera, William ci lascia. Per questo, oggi, più che un maestro e un genio, è un compagno di viaggio. Shakespeare nell’arte. Ferrara, Palazzo dei Diamanti, fino al 15/6. Londra, Dulwich Picture Gallery, dal 16/7 al 19/10 (catalogo Ferrara Arte). Ancora a Ferrara: Shakespeare e il cinema, aprile-giugno.

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