Sessualità consentita
<Una tematica, di cui poco sentiamo trattare in ambito religioso, è la sessualità consentita tra coniugi. Non cerchiamo “sconti”, ma temiamo atteggiamenti “bigotti” che poco hanno a che vedere con le Leggi di Dio>
L.O. – Udine
Il cristiano è uno che ha per “legge” lo stile di vita di Gesù, sintetizzato in una parola: amore, e specificato in un’altra, che ne indica la misura: come (“amatevi come io ho amato voi”). In tutto dovremmo domandarci: “Sono pronto a dare la vita per lui, per lei?”; non “fin dove posso arrivare?”, ma “il mio gesto esprime il mio donarmi?”.
Il nostro contesto culturale, a parer mio, ha due grossi limiti che incidono su temi anche drammatici: regolazione delle nascite, procreazione artificiale, eutanasia, accanimento terapeutico… Il primo è la confusione tra “sessualità” e “genitalità”: la sessualità coinvolge tutta la persona, la genitalità ne è l’espressione fisica, non la esaurisce.
Il secondo è la confusione tra ciò è “possibile” e ciò che è “buono”: non tutto ciò che è possibile è per ciò stesso moralmente lecito. In questa luce il “corpo” è ridotto a “bene strumentale”, da utilizzare secondo certe esigenze o capricci o interessi. Anche la “giocosità” fa parte del nostro rapportarci, perché il “volerci bene” è la fonte più vera del “piacere”… Ma che cosa vuol dire in concreto “voler bene” o, meglio, “volere il bene” dell’altro?
Il “rispetto” va rivolto all’interezza della persona, di cui il corpo non è una parte, ma la realtà che la esprime: corpo e membra non solo “servono”, ma veicolano un “senso”. Avete mai riflettuto, ad esempio, sul perché nella donna avvengono sì e no 400 ovulazioni in tutta la vita, mentre nell’uomo ad ogni eiaculazione sono “dispersi” milioni di spermatozoi?
In quest’ottica, non è sufficiente il “consenso” reciproco per dare “senso” ai gesti fisici: il senso non lo fabbrichiamo noi, ma lo riceviamo dalla struttura stessa delle cose. Chi crede, e non solo, vi scopre una “volontà” e “sapienza” che ci desidera felici nel saper donarci la vita.