Sesso e cultura

A proposito del nuovo calendario Pirelli, con modelle e cantanti fotografate in mezzo alle bidonville di Rio de Janeiro. Approccio progressista o sfruttamento delle debolezze di uomini e donne?
Calendario Pirelli 2013

Tempo fa la rivista americana Newsweek ha affrontato il tema dell’epidemia di dipendenza da sesso negli Stati Uniti: una volta il tipico sesso-dipendente era un uomo tra i 40 e i 50 anni, oggi invece aumentano donne, adolescenti e anziani. Uno dei motivi, secondo la rivista, è che Internet ha reso la pornografia facilmente accessibile, anonima e soprattutto gratuita.

Non a caso l’industria del sesso ha accusato il colpo, subendo un calo nei fatturati delle ditte produttrici di filmetti hard a pagamento. Secondo il settimanale, però, nonostante la liberalizzazione dei costumi, l’americano dell’era di Internet è sempre più “emotivamente frigido e socialmente isolato”.

Cercando su wikipedia, l’enciclopedia online, si scopre che “conservatori e religiosi condannano l’industria del sesso”. Questa definizione evidentemente significa che un vero progressista dovrebbe approvarla. Nel movimento femminista, sempre wikipedia ci spiega, è da tempo in corso un dibattito tra favorevoli, per cui la pornografia è un aspetto positivo della rivoluzione sessuale che ha portato alla liberazione della donna, e contrarie, per cui la pornografia si compiace solo di ridurre la donna a oggetto e merce sessuale, trasmettendone un'immagine degradata.

Ma ritorniamo all’inizio del 2012: il direttore del Centro di neuroscienze della politica alla Emory university di Atlanta, sempre negli Stati Uniti, commentando i risultati di uno studio sulle basi biologiche dei “valori inviolabili” delle persone, sottolineava come sia ormai dimostrato che cambiamenti nella cultura provocano mutamenti nei nostri cervelli, i quali a loro volta provocano cambiamenti nella cultura e così via. Non è possibile separarli.

Mi sono tornate alla mente queste notizie leggendo i quotidiani che annunciavano con enfasi l’uscita del nuovo calendario Pirelli, che propone ogni anno donne più o meno nude fotografate da grandi fotografi. In questo caso si parla di arte e non di pornografia, ma sfrutta sempre le stesse due debolezze: quella di tanti uomini, per i quali il desiderio sessuale è come una fame latente, in parte automatica, sempre pronta a risvegliarsi. E quella di alcune donne, ansiose di essere guardate, oppure costrette a vendersi per guadagnare di che vivere. Due debolezze connesse con la nostra biologia, che possono quindi essere rinforzate o rese meno opprimenti dalla cultura dominante.

Per certi giornali il calendario Pirelli è il massimo della cultura progressista. Ma quest’anno c’è una novità: le modelle sono un po’ più vestite del solito e il servizio fotografico è stato girato nelle bidonville brasiliane, in ambienti degradati, poveri e fatiscenti. Trovata geniale, commentano entusiasti tanti osservatori. Diciamo subito che le foto sono splendide. Eppure non riesco a togliermi un velo di tristezza guardando quelle immagini. E non solo perché ritengo che sfruttare il corpo femminile sia sempre sfruttare le due debolezze di cui sopra. Non solo perché, se continuiamo a considerare la pornografia una cultura di cui compiacersi, rinforziamo proprio gli istinti che ci rendono meno liberi.

Ma anche perché forse sono cambiati i tempi e i brillanti editori del calendario Pirelli non se ne sono accorti. È notizia di poche settimane fa che una delegazione spagnola si è recata in Sudamerica per chiedere aiuto in tempi di crisi. La povertà crescente ha fatto improvvisamente riprendere l’emigrazione europea, un fatto fino a pochi anni fa impensabile. Siamo noi ormai una delle zone del mondo a rischio povertà, mentre il Brasile è tra le nazioni in crescita tumultuosa. E dunque cosa farà il calendario Pirelli 2014? Avrà l’ardire di cambiare direzione? Manderà le sue modelle seminude all’Ilva di Taranto, a posare tra montagne di polvere e operai (maschi) arrabbiati per la precarietà del posto di lavoro? 

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