Sessantasette anni della repubblica indiana
Il 26 gennaio l’India ha celebrato il sessantasettesimo anniversario della proclamazione della Repubblica con l’entrata in vigore di una delle Carte Costituzionali più articolate e complete nel panorama geopolitico attuale. Scendendo nella lobby dell’Hotel che mi ospita mi hanno subito chiesto se accetto di mettere una bandierina del Paese al petto, sul cuore. Lo fa la stragrande maggioranza degli indiani, in questo giorno ed il 15 agosto, festa dell’Indipendenza. Come sempre, la Festa della Repubblica, è un momento molto importante per il Paese. Offre la possibilità per una verifica interna in particolare sulla realizzazione di quelli che sono gli ideali presentati nella Costituzione.
Nel 2016, sono molte le sfide che il gigante asiatico deve affrontare.Basta aprire un quotidiano per rendersene conto. Lontano dalle immagini che hanno creato stereotipi storici – la povertà endemica per esempio – o più attuali – la capitale del software e delle tecnologie più moderne -, l’India presenta un mix di contraddizioni legate alla convivenza di retaggi millenari e di uno sviluppo vertiginoso sull’onda della globalizzazione.
Una caratteristica di questi giorni riguarda il problema della discriminazione castale che è ritornato prepotentemente di attualità dopo il suicidio commesso in un campus universitario – quello di Hyderabad, tradizionale capitale dello stato dell’Andra Pradesh e, dal 2014 per un periodo di dieci anni, anche del nuovo stato del Telangana – da un giovane studente Dalit (fuori casta). A Rohit Vemula, questo il nome del giovane che si era iscritto ad un dottorato di ricerca presso la University of Hyderabad, era stata negata una borsa di studio che sembrava sicura. Il caso ha suscitato una forte reazione nella comunità Dalit e nei seguaci di Ambedkar, padre della Costituzione Indiana, lui stesso fuori casta e fondatore del Movimento neo-buddhista, che, nel suo spirito fondativo, mirava a liberare la comunità dalle tremende sperequazioni sociali di cui è vittima da millenni.
Il caso ha portato alla ribalta decina di altri incidenti di questo tipo avvenuti negli ultimi anni all’interno di vari campus universitari. Si calcola chefra il 2007 ed il 2011, ci siano stati11 casi di suicidio per motivi di discriminazione o sfruttamento castale in diverse istituzioni accademiche dello stato dell’Andra Pradesh. Ma ci sono altre cifre che fanno impallidire. All’interno della All India Institute of Medical Science (AIIMS), il centro di formazione medica di maggior prestigio in India, sono stati 16 i casi dello stesso tipo. In generale, comunque, su 25 casi di suicidio negli ultimi tempi nelle università indiane ben 23 sono fra giovani Dalit.
Il primo ministro Modi, dopo vari giorni di imbarazzante silenzio, ha espresso il suo cordoglio affermando che l’India ha perso un suo figlio. Tuttavia, il suo intervento, avvenuto a Lucknow nello stato dell’Uttar Pradesh, lontano da Hyderabad, ha suscitato la contestazione di giovani presenti al suo discorso. In vari campus del Paese asiatico si avverte una crescente contestazione che mira a liberare i giovani studenti fuori casta da etichette e stigma che durano da millenni e che permangono in un mondo, come quello dell’India del 2016, che si propone come uno dei Paesi trainanti del XXI secolo.
A fronte di una società in rapidissima evoluzione, infatti, la discriminazione, l’esclusione e le umiliazioni continuano a ferire comunità considerate fuori del sistema sociale indiano, utili solo per lavori umili come la raccolta e la cremazione dei cadaveri, la pulizia delle strade e delle località o di mestieri che hanno a che fare con prodotti o elementi considerati impuri dalla tradizione brahminica. Ma i dalit non sono le sole vittime delle discriminazione sociali. Anche i cosiddetti adivasi, popolazioni appartenenti alle tribù del centro nord e del nord-est del Paese, avvertono sulla propria pelle le stesse problematiche. Si tratta di situazioni problematiche non solo per le persone e le rispettive comunità etniche, linguistiche e religiose, ma anche per l’intero Paese. Equilibri millenari di convivenza di diversità rischiano di rompersi creando situazioni pericolose per il futuro dell’unità geo-politica ed amministrativa del gigante del sub-continente.
Le pagine interne, dedicate all’analisi critica, dei maggiori quotidiani, in questi giorni, lasciano la parola a studiosi ed osservatori di sociologia e politica per interessanti studi ed approfondimenti su questi nodi. Ci si rende conto che quello che manca è una adeguata formazione al senso civico ormai necessaria in una società che è protagonista a livello di economia, finanza e politica a livello mondiale. Tale tipo di formazione dovrebbe mirare a eliminare retaggi millenari che portano all’umiliazione e discriminazione di gruppi sociali considerati ai margini della società. Non sono state sufficienti misure di carattere politico-amministrativo come il riservare quote di entrata sia a livello scolastico che lavorativo per persone provenienti da questi strati sociali. Il trovare posto in una scuola o college, sia pure prestigiosi, o in un ufficio del Governo sulla base di posti riservati a questi gruppi, minoritari e tradizionalmente oggetto di discriminazione sociale, non ha fatto altro che perpetuare il senso di sentirsi cittadini di categoria inferiore. Tutti i colleghi, infatti, conoscono la provenienza sociale dei nuovi ammessi su queste basi di quote riservate.
La formazione scolastica al senso civico dovrebbe, invece, mirare a offrire una diversa prospettiva del tessuto sociale nazionale dove non è ammissibile, come affermava Gandhi, lo sfruttamento in nome della casta e, ancor peggio, del considerare qualcuno fuori dell’intero sistema. Esistono proposte concrete per favorire all’interno delle università la formazione di organismi di gestione che assicurino una buona rappresentanza di queste comunità in modo da garantirne i diritti umani.
Un secondo aspetto che rappresenta una sfida importante per l’India è la crescente intolleranza religiosa, da molti vista come conseguenza della politica del nuovo governo guidato dal leader del BJP Surendra Modi, ma, di fatto, nella percezione di molti telecomandato dalle forze fondamentaliste come la Rss. Le tensioni che, nei mesi scorsi, si sono create in diverse parti del Paese e che hanno coinvolto anche persone di cultura e di pensiero hanno portato alcuni personaggi di spicco – giornalisti, accademici, artisti – a restituire riconoscimenti nazionali ricevuti negli anni. Si tratta di gesti che hanno lasciato il segno nell’opinione pubblica che guarda a questi personaggi di cultura, costume ed arte come a veri role models. Questo problema, indubbiamente legato a quello di cui si parlava a proposito delle caste, sta sollevando vari quesiti importanti per un Paese che rischia di vivere in uno stato di schizofrenia fra un’ascesa sempre più decisa sulla scena internazionale e problemi legati a retaggi millenari che sembrano essere endemici.
Eppure la società indiana appare articolata, viva, intraprendente e in costante evoluzione. Non bisogna dimenticare che da vari millenni questa cultura riesce con capacità sconosciute ad altre a inglobare novità introdotte dalla storia, ad armonizzare elementi provenienti dall’esterno e a coniugare aspetti culturali e religiosi spesso apparentemente in contrasto gli uni con gli altri. I meccanismi reconditi della cultura del subcontinente che sfuggono al mondo occidentale hanno reso capace questa parte di mondo di realizzare sviluppi imprevisti a ritmi vertiginosi. Se l’India deve guardare al mondo per poter affrontare nodi interni importanti e spesso tragici è anche vero che il mondo, particolarmente l’occidente, non deve dimenticare di poter trovare stimoli importanti in questo angolo d