Servono fondi alla ricerca sui farmaci
La corte suprema indiana ha respinto il ricorso del gigante farmaceutico Novartis sul brevetto per il farmaco anti-tumorale Glivec. L’azienda chiedeva di mantenere per altri venti anni l’esclusiva nella produzione del Glivec mentre i produttori della versione generica ne avrebbero garantito un’immissione sul mercato a costi molto inferiori. Una sconfitta delle multinazionali? Una vittoria per i poveri che potranno accedere alle cure con spese inferiori? Abbiamo chiesto un commento a Gioacchino Nicolosi, vicepresidente nazionale di Federfarma che non ama parlare di sconfitti e vincitori ma chiede invece di lavorare per trovare un equilibrio che non penalizzi le aziende farmaceutiche e al contempo garantisca gli ammalati.
Si può ancora chiedere di usufruire di brevetti a scadenze anche ventennali come per la Novartis?
«Avere un brevetto sui farmaci è necessario e indispensabile perché oggi la ricerca non viene fatta dallo Stato o dai governi, ma sono le aziende private a promuoverle e ad investirci seriamente. Quindi il brevetto e il tempo di durata sono una garanzia per il recupero degli investimenti».
Questo giustifica costi così elevati dei farmaci?
«Anzitutto va detto chiaramente che le multinazionali non sono delle benefattrici e quindi c’è l’interesse al guadagno, anche se poi c’è di fatto una differenziazione nei prezzi dei prodotti a seconda dei Paesi in cui vengono smerciati. Inoltre queste aziende pagano lo scotto della contraffazione e nei Paesi africani o in Sudamerica questi danni ammontano a migliaia di dollari con un danno economico notevole, ma anche con un rischio elevato per la salute dei cittadini. La garanzia nella ricerca ha un suo costo».
Garantire cure diffuse a prezzi accessibili e convenienti per produttori e paziente è un’utopia…
«Non è facile trovare il punto di equilibrio tra rientro della spesa e reddito dei cittadini. In Italia i farmaci hanno i prezzi più bassi d’Europa e quindi i cittadini sono favoriti, ma purtroppo la ricerca si sposta altrove perché i guadagni non sono sufficienti a garantirla. Gli indiani ad esempio sono bravissimi nella produzione, ma non basta produrre se non c’è chi sperimenta e innova. Tranne gli Usa, oggi è difficile trovare Stati o governi che scelgono di investire sulla salute dei propri cittadini e quindi il diritto alla salute è in realtà tutelato più dall’imprenditoria farmaceutica, che cura i propri interessi ma non solo».
Lei parlava di contraffazione del farmaco. In Italia ci sono rischi in merito?
«Fortunatamente il nostro Paese, tranne per alcuni prodotti ormonali, è esente da questo rischio. Tuttavia la contraffazione ha tanti volti: il farmaco può contenere lo stesso principio ma in forma ridotta, può contenerne uno simile ma che non agisce allo stesso modo e con la stessa efficacia, può contenerne uno totalmente diverso. La Federfarma prova a vigilare su questo campo, purtroppo non può farlo adeguatamente sui prezzi ed è qui che occorrerebbe una vera task force con le industrie farmaceutiche per garantire rientri adeguati a chi investe e a chi consuma senza andare a scapito della qualità».