Servizio pubblico e interessi privati

I partiti non mollano la presa sulla Rai. Ma il “duo marziano” Tarantola-Gubitosi indicato da Monti è all'opera.
La commissione parlamentare di vigilanza sull'emittente pubblica

Fa il comico di professione e per far ridere si fa pagare. Quando è invece lui a volersi fare una risata, da buon genovese, può anche permettersi di non scucire un euro perché sono gli altri a regalargli momenti di grande ilarità. Anche questa volta Beppe Grillo sghignazza gratis. Senza doversi spremere le meningi per cavare battute inedite, il comico si è visto recapitare a casa nuovi pacchetti di voti.
A mandarglieli infiocchettati e con dedica sono stati i partiti, quelli che a parole dicono di voler combattere la cosiddetta antipolitica, ma che nei fatti alimentano il già scoppiettante fuoco dei sentimenti anticasta. Come non bastasse, in una escalation di atteggiamenti autodistruttivi, è arrivata anche l’ennesima battaglia sulla Rai, la più stucchevole dimostrazione della voracità e della scarsa lungimiranza dei partiti.
 
In realtà, attorno all’azienda del servizio pubblico se ne erano già viste tante, di tutte e di più. Ma come gli ultimi tempi, mai. Dopo alcune promesse e altrettanti tentennamenti, il premier Monti ha dettato la linea. Ora basta, fuori i partiti dalla Rai e che si volti finalmente pagina. Preso atto che per i veti delle segreterie politiche, non si sarebbero potute riscrivere in tempi rapidi le regole del governo Rai, il presidente del Consiglio ha preteso che almeno si cambiassero facce e metodi. Di qui l’indicazione di Annamaria Tarantola alla presidenza e di Carlo Gubitosi alla direzione generale, manager prestati alla tv pubblica e investiti di poteri più ampi così da poter avviare riforme e risanamento.
Per i partiti doveva essere questa l’occasione per redimersi di fronte all’opinione pubblica, facendo prevalere non gli interessi propri ma del Paese. E invece anche questa volta lo spettacolo mandato in onda è stato di quelli piuttosto scadenti. Il Pd si è arroccato sulla linea del Piave, o si cambia tutto o non si cambia niente. Poi ha accettato le nomine di due esponenti della società civile, l’ex magistrato Gherardo Colombo e la giornalista figlia d’arte Benedetta Tobagi, uniche novità positive in giorni di lottizzazione selvaggia.
Il Pdl, stante il conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi, dopo aver provato a rinviare ogni decisione, è arrivato a far rinascere lo spettro dell’alleanza già sepolta con la Lega, pur di non perdere poltrone e potere al “Settimo Piano”. È stato così che è stata trasmessa la commedia all’italiana del senatore Amato, il componente della Vigilanza rimosso un attimo prima di dare un voto contrario alle indicazioni del partito e sostituito a tempo di record dal presidente del Senato. Attivismo frenetico e decisioni fulminee che cozzano terribilmente con la prassi recente di un Parlamento che da anni non decide più nulla e dove i progetti di legge di riforma della Rai languono da anni nei cassetti.
 
Prologo peraltro alla contesa sui poteri più ampi assegnati ai nuovi vertici dal governo, diventati in breve materia di un nuovo mercanteggiare dietro le quinte. Un tira e molla su poltrone e strapuntini, che ha finito per mettere in pericolo la stessa tenuta del governo.
Alla fine, prima che partissero i titoli di coda e comparisse sulla scena il commissario, i vertici sono stati nominati e l’inedito duo Tarantola-Gubitosi, finalmente, ha potuto cominciare a scrivere un nuovo capitolo della storia della Rai. Quello, si spera, della svolta. Ci vorrà però tempo per dimenticare quanto appena visto. Mentre si chiudono ospedali, saltano posti di lavoro ed è l’intero Paese a rischiare il fallimento, i principali partiti hanno dato la sensazione di voler continuare a giocare a Risiko con i direttori di rete e di testata.
Divertente passatempo il totonomine, se non fosse che così facendo l’azienda, patrimonio di tutti, continua a perdere ogni giorno credibilità, la più importante risorsa di quella che ancora pomposamente si definisce «la prima azienda culturale del Paese». Un gigante d’argilla che fa più ascolti di Mediaset ma (non si capisce bene perché, o forse sì) incassa meno in pubblicità, regala alla concorrenza quelli che la gente segue e gli investitori pagano e intanto continua ad appaltare tutto a società esterne, pagate anche per confezionare programmi in cui un giornalista intervisti per mezz’ora un ospite in studio.
Ci sarebbe da ironizzare su quegli esponenti di partito che hanno chiamato marziani i nuovi dirigenti Rai, a digiuno di tv, partiti dal pianeta dell’alta finanza e atterrati al “Settimo Piano” di viale Mazzini. Ma la sensazione è che a venire da un altro pianeta siano ancora una volta loro, i partiti.

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