Servire la Chiesa
E’ un discorso di grande orizzonte, che riguarda la Curia ad intra e ad extra, il rapporto della Curia con le nazioni, con le Chiese locali, con il dialogo ecumenico, con l’ebraismo, con l’Islam e le altre religioni.
Ecco il “primato diaconale”, ecco il primato del Vescovo di Roma, ecco quello che Francesco definisce il mistero del servo.
Ma il papa dice ancora di più: «Una Curia chiusa in sé stessa tradirebbe l’obbiettivo della sua esistenza e cadrebbe nell’autoreferenzialità, condannandosi all’autodistruzione. La Curia, ex natura, è progettata ad extra in quanto e finché legata al ministero petrino, al servizio della Parola e dell’annuncio della Buona Novella: il Dio Emmanuele, che nasce tra gli uomini, che si fa uomo per mostrare a ogni uomo la sua vicinanza viscerale, il suo amore senza limiti e il suo desiderio divino che tutti gli uomini siano salvi e arrivino a godere della beatitudine celeste; il Dio che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi; il Dio che non è venuto per essere servito ma per servire; il Dio che ha costituito la Chiesa per essere nel mondo, ma non del mondo, e per essere strumento di salvezza e di servizio».
Il “primato diaconale” come primato di Dio e dei poveri. Non si tratta di imparare un’abile sociologia o organizzazione del potere, ma di ascoltare l’umile parola dei poveri. I poveri in Papa Francesco sono il grido degli ultimi: si fanno Vangelo, sono i maestri della Parola, ma al tempo stesso insegnano il servizio fino alla morte. Essi sono al primo posto nel servizio del Vescovo di Roma.
Papa Francesco accoglie a casa sua i poveri, i disabili, gli schiavi, le vittime, gli immigrati, i profughi. Accoglie la famiglia dei poveri come si accoglie Gesù.
Essi imparano a purificare la Curia e a collocarla al servizio degli ultimi, dilatando la carità, avendo il cuore per guardare la grandezza umile di Dio, che si misura con i popoli e le nazioni, le Chiese locali, le Chiese orientali, le grandi religioni monoteiste, la pace e la guerra.
Se la Curia si disinteressa dei poveri, dei piccoli, dei fratelli più piccoli, perde il principio diaconale e diventa un luogo di lotte di potere. I “complotti e le piccole cerchie” nascono nella Curia quando i poveri sono messi da parte, dimenticati, derisi, usati per trame e interessi. Senza l’incontro e la quotidiana familiarità con i poveri, si pensa solo a interessi indicibili di astuzia e di arroganza, di violenza e di conflitto.
Accanto a questo, si rendono visibili «i traditori di fiducia e gli approfittatori di maternità della Chiesa». Anche in questo caso, ecco i risultati di coloro che abbandonano i poveri: «Si lasciano corrompere dall’ambizione e dalla vanagloria e quando vengono delicatamente allontanate si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del “papa non informato”, della “vecchia guardia”».
Ecco i vizi di coloro che vogliono comandare ed esercitare il potere con i modi e gli stili dell’astuzia.
Sono sempre i poveri, che ci donano la libertà del Vangelo, la grazia a caro prezzo, la sapienza dei piccoli. Il criterio per comprendere la vita della Curia non sta nel potere, ma nel condividere la vita con gli ultimi. La riforma della Curia ha nell’accoglienza degli ultimi la sua misura.
La tentazione del potere, così come la racconta il Vangelo di Matteo, rinvia a un cancro che distrugge la Chiesa e questo cancro va sanato e guarito con la presenza inerme e mite dei poveri di Dio, dei disabili, che con la loro disabilità rendono visibile le molte povertà che attraversano la Chiesa e la Curia.