Serve un patto educativo contro le droghe
In aumento soprattutto tra i giovani il consumo di cocaina e cannabis. Come contrastarlo? Intervista allo psichiatra e psicoterapeuta Giuseppe Auriemma.
In un piccolo parco giochi per bambini di Montesacro, un tranquillo quartiere residenziale di Roma, ogni giorno, dopo la scuola, si incontrano 9, 10 ragazzi. Sono adolescenti: hanno 15, 16 anni. C’è chi porta la marijuana, chi le cartine per preparare gli spinelli, chi una bottiglia di liquore. Poi, per un’oretta, se ne stanno lì, in cerchio o stravaccati su una panchina, a bere, ad arrotolare l’erba e a fumarla. Arriva un vecchietto con la nipotina, li guarda corrucciato. Dopo un po’, alla spicciolata, il gruppetto si disperde. «Che cosa triste – afferma il pensionato – io alcuni di quei ragazzi li conosco. Sono del quartiere. Sono andati via perché di quello lì – dice indicandone uno con i capelli dritti e il pantalone a vita bassa – conosco bene il nonno».
Stando alla Relazione 2010 dell’Osservatorio delle droghe e delle tossicodipendenze in Europa, sono raddoppiati i decessi per cocaina. Al primo posto, nella classifica delle droghe più usate, c’è la cannabis, la preferita dai giovani, che sempre più spesso la coltivano nel giardino di casa o, nel caso della malavita organizzata, vicino ai luoghi di spaccio. Segue la cocaina e, per consumo, l’Italia è ai vertici dell’Ue. Per il governo italiano i dati sarebbero, in realtà, in diminuzione. Per l’Osservatorio, invece, è in aumento anche il consumo di eroina, una vera piaga in tutta Europa, nonché quello di amfetamine e delle nuove droghe sintetiche. Ma cosa spinge una persona, soprattutto un giovane, a farne uso? E come può un genitore capire che il proprio figlio “fuma” o sniffa? Ne parliamo con il dottor Giuseppe Auriemma, psichiatra e psicoterapeuta, in servizio presso l’Asl Napoli 1 Centro.
Cosa spinge un adolescente a fare uso di droghe?
«Il fenomeno della tossicodipendenza e del consumo occasionale di droga è di proporzioni e complessità tali che qualsiasi analisi è destinata ad essere parziale. Gli esperti sono concordi nel ritenere che l’assunzione di droga, un tempo moda di élite culturali e protestatarie ristrette, sia divenuta oggi l’espressione di un malessere e di un disadattamento giovanile, individuale e collettivo. Un disturbo nella relazione tra l’individuo e il suo ambiente, in soggetti fragili e insicuri, nell’età dell’adolescenza. Drogarsi è per molti ragazzi un modo per sentirsi accettati, partecipi di un gruppo, attraverso il rito collettivo che pare offrire rassicurazione, protezione da una società alienante che, attraverso il mito del successo individuale e il prestigio sociale, schiaccia i più deboli e i meno sicuri».
Cosa fare, allora?
«Bisogna prestare attenzione al bisogno interiore dei giovani, soprattutto degli adolescenti, che alimenta l’uso della droga. L’adolescente, infatti, costituisce spesso un problema delicato nella storia di un nucleo familiare e, se assume atteggiamenti di rifiuto e comportamenti devianti, la situazione diviene carica di tensione. Quando una persona sa sentirsi sicura nei contesti sociali, sa accettare se stessa, sa crearsi delle situazioni nelle quali vivere e godere delle emozioni, la droga non serve più, non serve più la cocaina per essere lucidi e forti né un sovraccarico di lavoro per riempire i vuoti esistenziali. In questo senso la famiglia , la scuola e le istituzioni sono chiamati a un patto nuovo educativo integrale».
Come si può scoprire se un figlio fa uso di droghe?
«Spesso l’uso di sostanze si accompagna ad una serie di segnali, di sintomi fisici come disturbi del sonno e dell’appetito, isolamento, sbalzi di umore, facile irritabilità, che possono indurre i primi sospetti. I segni e sintomi presentati sono diversi a secondo della sostanza assunta, della quantità, frequenza e della variabilità individuale. I derivati della cannabis, per esempio, sono ricercati come droga ricreativa perché producono una variazione dello psichismo, cioè un’alterazione dello stato di coscienza, con euforia, rilassamento, cambiamenti nelle percezioni quali distorsione del senso del tempo e intensificazione delle normali esperienze sensoriali, disinibizione psicologica e comportamentale. Ma accanto alle reazioni “desiderate”, spesso si producono effetti spiacevoli come ansia, reazioni di paura fino al panico, terrore di impazzire, sentimenti acuti di disforia (alterazione dell’umore) e depressione».
Come aiutare chi si droga?
«Si deve riflettere prima di agire, evitare di trasformarsi in investigatori privati e di fare tragedie. Come suggerisce Maurizio Colletti, Presidente di Itaca Europa, l’Associazione europea degli operatori professionali delle tossicodipendenze, si deve insistere davanti alle negazioni dei figli, non negare la propria preoccupazione e dimostrare di non giudicare. Importante può anche risultare riuscire a mantenere la famiglia unita, non provare vergogna e per questo isolarsi. Ma prima ancora, bisogna aiutare i propri figli a scegliere di chiedere aiuto. Utile, inoltre, l’alleanza con il medico di famiglia, che può svolgere un ruolo importante per l’individuazione delle diverse aree di problematicità spesso presenti in un soggetto tossicomane e per l’invio ai servizi preposti alla diagnosi, alla cura e alla prevenzione, cioè ai SER.T. e alle comunità terapeutiche».