Serve un impegno mondiale per salvare il pianeta

I rappresentanti di quasi 200 nazioni discutono dell'estensione del protocollo di Kyoto per arginare il riscaldamento globale
doha ambiente

I rappresentanti di quasi 200 nazioni sono riuniti a Doha, in Qatar, fino al 7 dicembre, per cercare di rafforzare l’impegno – assunto sotto la guida dell'Onu – a rallentare il riscaldamento globale, responsabile dell’aumento di periodi di siccità, di inondazioni, ondate di caldo e dell’innalzamento del livello dei mari. Il vertice ha in agenda alcune questioni importanti, come l’estensione del protocollo di Kyoto concordata un anno fa alla conferenza di Durban. La maggior parte dei Paesi è favorevole all’estensione. L’accordo di Kyoto – lo ricordiamo – prevede l'obbligo per il 40 per cento dei Paesi industrializzati di tagliare le emissioni di gas serra di almeno il 5,2 per cento entro il 2012, rispetto ai livelli del 1990.

L’Australia e l’Ue sostengono l’estensione del protocollo, mentre Canada, Giappone e Russia sono contrari, perché ritengono che non abbia alcun senso quando le nazioni emergenti, come India e Cina, non hanno obiettivi vincolanti. Inoltre c’è da ricordare che gli Usa non hanno mai ratificato il protocollo di Kyoto.

Altro punto di disaccordo sarebbe la durata dell’estensione: l’Ue chiede di arrivare al 2020, mentre alcuni Paesi in via di sviluppo vorrebbero un’estensione di soli cinque anni. Inoltre i Paesi emergenti chiedono un aumento di capitale da parte dei Paesi più ricchi per aiutarli a ridurre le emissioni. Questi ultimi però ricordano di aver mantenuto la promessa di Copenhagen 2009, di finanziare con 10 miliardi l’anno i Paesi più poveri.

L’Italia è in prima fila per dare seguito al protocollo di Kyoto, ma chiede che ai Paesi sottoscrittori della prima fase (Unione Europea, Australia e Svizzera) si affianchino quelli che non vi hanno aderito: gli Usa in primis, ma anche Giappone, Canada e Russia. A ribadirlo il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, presente all’incontro. Il ministro ha sottolineato che «le politiche nazionali sono essenziali, ma non bastano se non vengono inserite in un contesto internazionale che le inquadri in un’azione globale per contrastare i cambiamenti climatici».

Il ministro ha illustrato l’impegno per l’energia pulita che ha portato l’Italia nel 2011 a essere il primo Paese al mondo per nuova capacità di energia fotovoltaica connessa alla rete, realizzando da sola il 33 per cento della nuova potenza istallata, ed è al secondo posto dopo la Germania per capacità complessiva. «Negli ultimi cinque anni – spiega in una nota Mauro Albrizio, responsabile Politiche europee di Legambiente – l’Italia ha fatto significativi passi in avanti, passando dal 48esimo al 21esimo posto (nel 2012) nella classifica Germanwatch, il rapporto annuale sulla performance climatica di 61 Paesi. Performance dovuta alla riduzione delle emissioni conseguente non solo alla recessione, ma anche al ruolo importante giocato dalle rinnovabili e dall’efficienza energetica negli ultimi anni». Basti pensare che gli Usa sono attualmente al 43esimo posto e la Cina al 54esimo, mentre a guidare la lista troviamo la Danimarca al quarto posto, la Svezia al quinto e il Portogallo al sesto.

È stato deciso di non assegnare i primi tre posti della graduatoria perché, allo stato attuale, nessun Paese ha messo in campo azioni virtuose in grado di contribuire a limitare le emissioni al di sotto dell’obiettivo dei 2 gradi centigradi. Per la Banca mondiale «l’inazione comporterà un aumento di 4°C della temperatura media della Terra entro il 2060. Questo sarà un cataclisma per i Paesi poveri e per la crescita economica». Speriamo quindi che in questa seconda e ultima settimana di convegno si riesca a trovare un accordo sul Kyoto 2 in modo da poter abbassare concretamente le emissioni di CO2 per i prossimi anni.

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