A chi serve la guerra in Ucraina? Incognita atomica
Ucraina e Russia. Fonti dell’intelligence statunitense, riportate da diversi organi di stampa, considerano imminente l’inizio del conflitto armato. Lo stato d’allerta dura da giorni. Addirittura per poche ore l’agenzia Bloomberg ha dato l’annuncio, poi smentito, del primo sfondamento del confine da parte dell’esercito moscovita. Sembra impensabile il deflagrare di una guerra in Europa tra le forze della Nato e quelle di Putin, entrambe in possesso di migliaia di armi nucleari pronte ad essere usate in caso di escalation.
Ma la guerra è follia per definizione (alienum est a ratione come ha detto Giovanni XXIII nella Pacem in Terris) e divampa da una scintilla che non pare preoccupare all’inizio. Come ha scritto lo storico Emilio Gentile, nel 1914 «la maggior parte dei governanti era in procinto di andare in vacanza quando apprese la notizia dell’attentato di Sarajevo e non paventò il pericolo immediato di una guerra europea». È lo stesso esempio che pone Maurizio Simoncelli, cofondatore di Iriad, nell’intervista di approfondimento per Città Nuova nel clima irreale dell’attesa di una guerra annunciata, dissimulata e poi negata come in una tragica partita a poker tra Biden e Putin.
E una volta avviato il meccanismo infernale cosa può fare chi ripudia la guerra? Che autonomia può esercitare l’Italia davanti all’assenza di un governo europeo con relativi ministri degli esteri e della difesa? Siamo tenuti ad inviare soldati e armi a fianco dell’alleanza atlantica sotto la guida degli Usa? Ed è ragionevole farlo dopo il disastro dei 20 anni di intervento in Afghanistan che si è concluso con una trattativa esclusiva tra Stati uniti ed esercito talebano?
Certe narrazioni della realtà forzano la mano come quella del ministro della difesa britannico, Ben Wallace, che in un’intervista ha paragonato l’azione di Putin verso l’Ucraina come quella della Germania di Hitler che nel 1938 nell’accordo di Monaco trovò un Occidente arrendevole verso le pretese tedesche sull’occupazione della regione dei Sudeti in Cecoslovacchia. Anche Angelo Panebianco sul Corriere della Sera descrive l’ingenuità di un’ Europa che non si renderebbe conto di essere accerchiata contemporaneamente dall’azione di due potenze autoritarie (Russia e Cina) e dall’estremismo islamista.
Per questi motivi è consigliabile la lettura dell’agile saggio di Simoncelli, “Terra di conquista” che permette ad un vasto pubblico di entrare dentro i meccanismi e le cause reali dei conflitti presenti nel mondo. Una conoscenza necessaria per chi non accetta di restare indifferente e perciò obbediente supinamente alla menzogna che è sempre all’origine di ogni guerra, dove la prima vittima è la verità.
Così, come spiega Simoncelli, non si può tacere il fatto che «il progressivo allargamento ad est della Nato e della UE, in particolare con la dislocazione di basi antimissile e di truppe su aree sempre più vicine alla Russia, ha allertato Mosca che ha visto, nel tempo, molti Paesi ex satelliti passare sul fronte occidentale suscitandole un senso di accerchiamento crescente. Lo stesso programma di ammodernamento LEP Life Extension Program per le nuove bombe nucleari tattiche B61-12 e la dotazione di F35 resi idonei al loro trasporto è un’altra tappa della corsa agli armamenti che caratterizza questa stagione di tensione».
Nell’analisi di Simoncelli si profila il peso determinante del complesso militar industriale che, con la fine del conflitto afghano, ha bisogno di colmare un vuoto apertosi nel mercato bellico che può rapidamente colmarsi con l’aumento della tensione per l’imminenza della guerra. Da parte sua l’Ucraina, «secondo il SIPRI di Stoccolma, si colloca tra i primi 15 grandi esportatori di maggiori sistemi d’arma, dopo essere stata per anni ai primi posti di quella classifica, arrivando quarta nel 2012. Tra i suoi principali clienti degli ultimi anni troviamo Cina, Indonesia, Pakistan, Qatar, Thailandia e Vietnam, mentre, nel recente passato, era un grande fornitore proprio della Russia (850 mln di dollari tra il 2008 e il 2018)». La produzione è ultimamente sempre più orientata al riarmo interno.
Contrariamente alle intenzioni dei padri fondatori dell’Europa, a favore di una cooperazione internazionale tra gli Stati, le tensioni crescenti tra Nato e Russia, fa notare Simoncelli, «stanno spingendo questo Paese a cercare sostegno da parte cinese: la saldatura degli interessi tra Pechino e Mosca è un rischio ancora maggiore, come stanno dimostrando già il crescente interscambio economico tra i due (arrivato a 146 miliardi di dollari nel 2021, a fronte dei 95 del 2014) e la presa di posizione cinese sugli interessi russi nella crisi ucraina (“comprensione e sostegno”)».
L’innesco di un fattore scatenante il conflitto può essere facilitato, inoltre, dalla presenza di truppe irregolari russe, come i mercenari usati sul fronte libico, e di formazioni neonaziste, ad esempio il reparto Azov, integrato nella Guardia nazionale ucraina.
Oltre all’invito pressante ad impedire la follia della guerra levato dalle Chiese cristiane, esistono, tra molte difficoltà, rapporti tra i movimenti per la pace presenti in Europa, Usa, Ucraina e Russia, che stanno organizzando un’azione comune per premere sui rispettivi governi.
Come sempre, resta la domanda sul comportamento possibile per chi rifiuta di essere parte del meccanismo della guerra nel caso in cui i vertici politici decideranno di varcare la “linea rossa” della partecipazione al conflitto bellico. È avvenuto nel 2003 con la disastrosa guerra in Iraq decisa su prove fase fasulle e nonostante l’azione di un enorme movimento per la pace mondiale. Ora si ripropone in Europa con il ministro della Difesa Lorenzo Guerini che, nell’audizione congiunta di Camera e Senato dell’8 febbraio, ha detto, tra l’altro, che «il 16-17 febbraio parteciperò alla ministeriale Difesa della Nato, nell’ambito della quale si discuterà, in particolare, l’opportunità di dare seguito alla proposta di prevedere una presenza stabile anche nei Paesi del fianco Sud-Est dell’Alleanza, in analogia a quanto in atto in Polonia e nei Paesi Baltici e di aumentare l’offerta di assetti aerei».