Ogni sera mia nonna guardava la stalla…
Su Laç di Kurbin, villaggio a nord dell’Albania sulla costa adriatica, cominciavano a scendere le prime ombre della sera quando Arjan ebbe fame. Pensando di trovare nella madia qualcosa da mettere sotto i denti, il bambino scese in cucina. Lì trovò la nonna materna: affacciata alla finestra, guardava la stalla dirimpetto alla casa, così assorta che non si accorse dell’arrivo del nipotino. Non era la prima volta che, nei suoi frequenti soggiorni dai nonni, quasi alla stessa ora, lui la sorprendeva in quel posto, intenta a fissare la stalla. Cosa l’attirava in quella costruzione che non aveva nulla di speciale? E quella catenina fatta con noccioli d’ulivo, che lei faceva scorrere tra le dita, cosa significava?
Arjan se l’era chiesto più volte. ma non aveva mai osato farne parola alla nonna, malgrado la confidenza e l’affetto, come nel timore di violare un segreto che al momento non toccava a lui svelare, capire. E c’era qualcos’altro che lo incuriosiva di lei: intenta alle faccende di casa, se il nipote era presente, canticchiava dei motivi mai sentiti prima da Arjan. Motivi con parole mal comprese, che però si sarebbero sedimentati nella memoria del bambino. Del resto, con la spensieratezza tipica dell’età, lui passava presto ad altri interessi. A sua volta la nonna guardava intenerita quel nipote a cui trasmetteva i germi della fede cristiana nell’unico modo possibile a lei analfabeta, in assenza di segni visibili: attraverso canti liturgici.
Quanto ad Arjan, ancora ignorava ciò che sotto il comunismo e la dittatura di Enver Hoxha aveva sofferto la sua patria evangelizzata dai primi apostoli, ma dove ora testimoniare la propria fede era perseguito come reato. Proprio sulla collina che sovrastava Laç, per impedire i continui pellegrinaggi non solo di cristiani, ma anche di musulmani, il più antico e venerato santuario d’Albania, dedicato a sant’Antonio di Padova, era stato fatto saltare con la dinamite per ordine del dittatore comunista. Ciò nonostante, i ruderi rimasti avevano continuato ad attirare silenziosi pellegrinaggi, simbolo della resistenza del popolo ai soprusi del partito. Soprattutto il 13 giugno centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il Paese avevano sfidato i divieti e i controlli della polizia segreta, la famigerata Sigurimi, per radunarsi in quel sito. Più tardi, con l’uccisione di Hoxha nel 1985 e il dissolversi nel 1991 del regime, il culto pubblico aveva ripreso vita e al posto dei ruderi era stata eretta una piccola chiesa in pietra bianca, in attesa di edificare un nuovo vero santuario.
Crescendo, Arjan aveva sentito parlare di questi fatti, circondati da un’aura leggendaria. Non solo, aveva saputo che la stalla verso cui ogni sera puntava gli sguardi la nonna, pregando col suo rudimentale rosario privo di croce, era stata in origine la chiesa del villaggio che aveva seguito la stessa sorte di tanti altri edifici religiosi in Albania, trasformati in locali ad uso del partito e dello Stato.
Con l’animo però Arjan era lontano da tutto ciò. Dai genitori infatti, atei dichiarati, non era stato battezzato e ignorava tutto del cristianesimo. Per di più ora i suoi interessi erano altri, concentrati sul proprio futuro. Così il 15 settembre 1993, ormai sedicenne, dopo vari tentativi falliti s’avventurò su un barcone stracarico di quaranta suoi connazionali. Partito dalla laguna di Patok, sua meta preferita da bambino, Arjan lasciava dietro di sé un Paese in sfacelo dopo la caduta di Hoxha e in devastante crisi economica. La meta era l’Italia, quell’Italia che per tutti rappresentava una prospettiva di lavoro, di una vita migliore per sé e per le famiglie. E tale era pure la speranza del ragazzo, in ansia per i suoi rimasti in povertà.
Era notte quando il barcone prese il largo sull’Adriatico, una notte calda ed eccezionalmente gremita di stelle, il cui splendore beneaugurante leniva un po’ il distacco dai propri cari e dalla terra che lo aveva visto nascere.
Approdato sulle coste pugliesi, Arjan riuscì a raggiungere Dronero, in provincia di Cuneo, dove ritrovò alcuni vicini di casa emigrati prima di lui. Col loro aiuto, per pagarsi i primi studi e mandare anche qualcosa ai parenti s’industriò a fare di tutto: operaio saldatore, giardiniere, muratore… lavorando anche più di dieci ore al giorno. In seguito l’amicizia con alcuni giovani di una comunità di preghiera particolarmente devota alla Madonna gli aprì mente e cuore alla comprensione del Vangelo; finché cominciò a rivelarglisi ciò che aveva soltanto intuito negli anni della prima giovinezza accanto alla nonna. Riconobbe pure, sentendole da altri, le preghiere che lei cantava sommessamente per custodire quella fede che era vietato professare in pubblico.
La nonna non gli aveva mai parlato espressamente di Dio, certo per riguardo ai genitori, ma col suo contributo di preghiera e sacrificio gli aveva preparato il terreno. In Italia, infatti, Arjan ritrovò e comprese tanti degli insegnamenti ricevuti da lei.
Attirato dall’umanità di Cristo, nel ragazzo si sviluppò l’amore per lui: da qui il desiderio di intraprendere il percorso verso il battesimo, ricevuto quattro anni dopo. In seguito, la decisione di una donazione totale nella Fraternità sacerdotale dei Figli della Croce, fino all’ordinazione sacerdotale nel 2003 per le mani di Giovanni Paolo II, il papa che insieme a madre Teresa di Calcutta, la santa di origini albanesi, sarebbe diventato per lui guida e punto di riferimento.
Dei genitori, intanto, soprattutto il padre non riusciva ad accettare la svolta che Arjan aveva impresso alla sua vita. Ma l’emozione provata alla sua ordinazione lo toccò nel profondo. Al punto che il figlio, dopo aver celebrato la prima Eucaristia nel pomeriggio del giorno dopo, li unì entrambi in matrimonio cristiano.
Cappellano della comunità albanese a Roma, richiesto nel 2017 dalla sua diocesi, don Arjan fece ritorno come sacerdote fidei donum in Albania: terra che, mentre fa ancora i conti con i problemi lasciati dal passato regime, sta d’altra parte conoscendo un risveglio di spirito cristiano e di vocazioni sacerdotali e religiose. Più tardi nominato da papa Francesco vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Tirana-Durazzo, dalla fine del 2021 mons. Arjan Dodaj è alla guida della stessa sede, al servizio del suo popolo.
Non aveva sbagliato la nonna, finché era vissuta, a recitare il rosario rivolta all’ex chiesa trasformata in stalla: forse che Gesù non era nato in un posto del genere, attorniato da animali innocenti? La sua preghiera semplice ma intrepida non era stata delusa.