Sepino, recinto di armonia

Nel cuore dell'antico Sannio, a sud di Campobasso, una città romana in miniatura.
sepino

Nel cuore dell’antico Sannio, Sepino romana rivive nella borgata di Altilia, a sud di Campobasso, nella piana alle falde del Malese aperta sulla valle del Tammaro; non lontana dalla Sepino moderna, d’origine medievale, sorta in altura nell’XI secolo per sfuggire alle incursioni saracene. Il suo nome sembra derivi da “saepio”, cingere, e richiama gli spazi cintati, per i mercati e le greggi, nell’ambito di una economia pastorizia così vitale – fin dalla più remota antichità – per la regione, da piegare le stesse regole del tessuto urbano alle esigenze della transumanza.

Ci arrivi preparato al meglio da letture e documentari televisivi, e la trovi senza confronti con le aspettative. Sepino non delude: sorprende, affascina con la bellezza discreta, propria di questa terra molisana.

 

Decumani e cardini di questa città romana in miniatura, a misura d’uomo, completa di tutto, ricalcano antichissimi percorsi di traffici e tratturi dove ancora oggi le greggi s’incanalano, dopo esser passate sotto i fornici delle sue porte, lambendo ciò che resta di case, botteghe e pubblici edifici e riempiendo il foro di belati e groppe lanose: mite periodica invasione che sola rompe la quiete e il silenzio di qui, dando l’illusione che questo sia tornato ad essere il luogo di transito, di mercato e di scambio che fu.

 

Ma quando mai i suoi antichi abitanti hanno potuto goderla così, ora che il crollo di tetti e pareti ha aperto spazi al verde delle campagne e dei boschi, alla luce e alla purezza del cielo, ora che il paesaggio la fa da padrone tra le rovine? Dà l’idea di una nuova creazione cui hanno concorso vicende storiche, uomini e tempo, e che non mi fa rimpiangere la Sepino del passato.

Basta guardare i casali sorti dal XVII secolo in qua entro la sua cima turrita a spese degli antichi edifici, di cui inglobano blocchi di calcare, lapidi, fregi: esempi stupendi di architettura cosiddetta “spontanea” oggi restaurati e – alcuni – tuttora abitati da famiglie contadine, testimoniano la continuità di vita in questi luoghi, creando un singolare e armonioso insieme di epoche e stili un po’ unico fra le città dissepolte.

 

Esempio perfetto di tale connubio è il ben conservato teatro, capace un tempo di circa tremila persone. Sull’ordine più alto delle gradinate si sono insediate case coloniche cresciute coi suoi marmi e il recinto semicircolare che ne risulta sembra accogliere in sé tutto il fascino, l’anima direi, di questa città.

 

Sepino nata, distrutta e poi rinata dai suoi stessi elementi, ricomposti però in forme nuove, non meno belle delle originarie. Come una vita che il travaglio ha riassestato, pacificato, le cui stesse cicatrici attestano una conquistata verità.

I più letti della settimana

Il sorriso di Chiara

Abbiamo a cuore la democrazia

Carlo Maria Viganò scismatico?

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons