Separato da tutti, a tutti unito
Ogni volta che leggeva la Vita del grande Antonio, apa Pafnunzio esultava di gioia. Vi vedeva rispecchiato il proprio cammino e vi coglieva sempre nuove ispirazioni.
Il patriarca Atanasio aveva scritto quel libro per offrire ai monaci una vera regola fatta non di prescrizioni, ma dell’esempio vivo e concreto di un monaco come loro, che aveva raggiunto la perfezione. Apa Pafnunzio vi si ritrovava nelle descrizioni delle lotte contro Satana, nella pratica ascetica, nella fede nella presenza costante del Signore anche quando, al pari di Antonio, non la percepiva…
Quando tuttavia leggeva che la dimora deserta del santo apa si attorniava di persone che domandavano di essere guarite, di ricevere un consiglio o un’elemosina, si guardava attorno e la cella gli pareva troppo vuota. Ritirato com’era dal mondo, non era d’aiuto e di sollievo proprio a nessuno. Quando ancora vedeva apa Antonio lasciare il deserto per recarsi ad Alessandria, la grande città, a sostenere il patriarca Atanasio nella difesa della fede o i martiri a confessare la fede fino alla morte, si sentiva così insignificante e inutile da lasciarsi prendere dallo scoramento.
Era un solitario ignoto, nascosto in una grotta lontana di un deserto lontano. Semplicemente nessuno.
«A chi giova la mia vita?», si domandava. Era il demonio dell’acedia che si stava nuovamente avvicinando o non piuttosto l’urgenza di comprendere più a fondo ancora il significato della propria scelta, che tale non era, ma frutto di una chiamata?
Scese al fiume e si coricò sulla sua sponda. Avvolto nel mantello passò la notte cullato dal lievissimo lento scorrere dell’acqua. Sul primo mattino apparve amma Serra ad attingere con l’anfora.
«Amma, dimmi una parola», supplicò apa Pafnunzio.
Amma Serra, che leggeva i cuori, gli disse: «Il monaco è colui che, separato da tutti, è unito a tutti».
Durante la notte apa Pafnunzio mantenne acceso il lume davanti all’icona del Pantokrator:
Sulla croce eri separato da tutti.
I discepoli si erano separati da te,
il Padresi era separato da te,
la madre l’avevi separata da te.
Chi più solo di te?
Lassù più non parlavi,
dov’erano le tue parole di sapienza?
Soltanto un grido senza parola.
Lassù più non operavi miracoli,
neppure richiesto,
le mani inchiodate.
Lassù non potevi più andare per villaggi e città,
i piedi inchiodati.
Lassù non eri più luce per alcuno,
avvolto soltanto da tenebra.
Mai come lassù eri unito a tutti.
Eri noi tutti.
Mai come lassù hai parlato
dando lo Spirito che ha parlato
per bocca dei profeti,
il tuo Spirito di Verità.
Lassù hai operato l’opera più grande
di tutte le opere, la nostra salvezza.
Lassù la piccola terra dei tuoi Padri
si è spalancata sul mondo intero
rendendoti presente ovunque e per sempre.
Lassù ci hai tutti illuminati
attirandoci tutti a te.
La mia vita come la tua,
offerta pura e silenziosa
per la salvezza del mondo.
La cella gli si riempì d’incanto di uomini e donne, giovani e anziani, sani e ammalati, poveri e ricchi, numerosi come mai ne aveva visti radunati assieme. Più che nel suo villaggio, più che nella grande città d’Alessandria. Di ognuno sentì gemiti e lamenti, preghiere e suppliche, gioie e dolori. Tutti gli penetrarono in cuore e tutti li offrì a Dio come suo dono.
Fabio Ciardi, I detti di apa Pafnunzio, in cammino nel deserto (Città Nuova, 2014)