Sentire il sublime
Due domande per approfondire, con la prof.ssa De Marco, il rapporto del sublime col bello e col dolore
La meraviglia di Kant
Lei scrive che secondo Kant “il piacere del sublime non è tanto una gioia positiva, ma piuttosto una continua meraviglia”. Questo però non potrebbe portare a confondere il sublime con la “magnificenza”, intesa come grandiosità delle cose belle, modello di stile grandioso o elevato?
«È importante contestualizzare storicamente il significato dei termini. La meraviglia viene intesa come sinonimo di magnificenza e grandiosità solo nel barocco italiano e spagnolo. Io credo che oggi non corriamo più questo rischio! La meraviglia che permette di scoprire il sublime è piuttosto, come direbbe Platone, la meraviglia davanti all’essere, e questa, ieri come oggi, è la radice della filosofia. Io credo che oggi dovremmo recuperare la capacità di provare stupore non nel senso del sensazionalismo, ma come capacità di cogliere e di accogliere il bello che ci viene donato e si manifesta nell’arte, ma che al contempo ci trascende».
Mysterium tremendum et fascinans
Nel 1757 Edmund Burke, nel testo intitolato Indagine filosofica sull’origine delle nostre idee di Sublime e Bellezza, afferma: “Tutto ciò che può destare idee di dolore e di pericolo, ossia tutto ciò che è in un certo senso terribile (…) è una fonte del sublime: ossia è ciò che produce la più forte emozione che l’animo sia capace di sentire”. Secondo lei, è ancora possibile affermarlo? Con tutti gli stimoli che la società di oggi ci propone, è ancora possibile “sentire” il sublime?
«Anche qui bisogna chiarire i termini: il terribile non è ciò che terrorizza, non è terror, ma è piuttosto timor ….Secondo R. Otto il sacro è misteryum tremendum et fascinans e questo a mio avviso può bene applicarsi al sublime. Secondo me attraverso il sublime si può recuperare il rapporto col dolore e con la trascendenza, come apertura dell’animo a ciò che è mysterium tremendum che ci sorpassa, ma è fascinans che ci attira.
Per quanto riguarda il rapporto col dolore, io credo che la nostra epoca abbia invece un rapporto privilegiato con esso e non possa prescindere dalle grandi tragedie del XX secolo, da Hiroshima alla Shoah, a tutti i totalitarismi, alla guerra in Bosnia fino all’11settembre, per non parlare dell’angoscia esistenziale e dell’assurdo, tipici della sensibilità del Novecento. Inoltre il Novecento non conosce un arte di maniera il cui scopo è delectari, ma conosce un’arte impegnata, che dalle arti figurative al teatro, alla danza, alla letteratura, alla musica ha voluto denunciare le situazioni di ingiustizia, di dolore e di assurdità sia sul piano sociale che esistenziale. La nostra coscienza storica e la nostra sensibilità nel XXI secolo non possono prescindere da questo. Si tratta però di superare il livello della denuncia o della semplice espressione: non basta dar voce al dolore, ma forse occorre trasformarlo.
Così il misteryum tremendum et fascinans ci abbraccia attraverso la bellezza che filtra oltre il dolore nell’esperienza del sublime. Non è qualcosa che si impone, ma è qualcosa che si può cogliere, passando attraverso la nostra libertà ed una fine apertura e sensibilità nel cogliere la luce che, come dice Heidegger, non invade, ma filtra in chiaroscuro, trovando eco in ciò che da sempre è nella nostra anima».