Sentenza Thyssen, svolta nella giustizia del lavoro
Condannati a 16 anni per omicidio volontari i vertici dell’azienda. Tensione e poi soddisfazione dei familiari delle vittime nel tribunale di Torino
È stato omicidio volontario. La seconda corte d’assise di Torino, presieduta da Maria Iannibelli, ha condannato Harald Espenhahn, 45 anni di Essen, amministratore delegato della Thyssen a 16 anni e mezzo. Con lui sono stati condannati Gerald Priegnitz, membro del comitato esecutivo dell’azienda, Marco Pucci, dirigente, Giuseppe Salerno, responsabile dello stabilimento torinese, e Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza, a 13 anni e 6 mesi e Daniele Moroni, dirigente, a 10 anni e 10 mesi (la pena è stata aumentata rispetto ai 9 anni chiesti dai pm) accusati a vario titolo di omicidio e incendio colposi, oltre che di omissione delle cautele antinfortunistiche.
I giudici hanno accolto in toto le richieste dei magistrati, i pm Raffaele Guariniello, Laura Longo e Francesca Traverso, confermando l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale per l’amministratore delegato e quella di cooperazione in omicidio colposo per gli altri manager. È la prima volta che in un processo per morti sul lavoro gli imputati sono stati condannati a pene così alte. La società ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni Spa, chiamata in causa come responsabile civile, è stata inoltre condannata al pagamento della sanzione di un milione di euro, all’esclusione da agevolazioni e sussidi pubblici per 6 mesi, al divieto di pubblicizzare i suoi prodotti per sei mesi, alla confisca di 800 mila euro, con la pubblicazione della sentenza sui quotidiani nazionali La Stampa, La Repubblica e il Corriere della Sera.
Ad accogliere la sentenza, dopo 94 udienze e una lunga requisitoria dei pm durata per dieci udienze, non solo i parenti delle vittime, i sette operai morti la notte del 6 dicembre 2007 a causa di un incendio sulla linea cinque delle acciaierie ThyssenKrupp di Torino, ma un’intera città e forse l’intera categoria dei lavoratori che si è sentita in qualche maniera “risarcire”. È infatti stata la prima volta in cui a costituirsi parte civile sono stati 48 lavoratori, un numero mai così alto per un solo processo, ma anche Comune e Provincia di Torino, Regione Piemonte, Cgil e gli altri sindacati e varie associazioni come Medicina democratica. Per quanto riguarda le parti civili, la corte ha riconosciuto un risarcimento di un milione di euro al Comune di Torino, di 973.300 alla Regione Piemonte, di 500 mila euro alla Provincia di Torino e di 100 mila euro ciascuno ai sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uim-Uilm, Flm-Cub. Cento mila euro di risarcimento anche all’associazione Medicina Democratica.
E la tensione dell’attesa, nell’aula 1 del Tribunale di Torino, tra le lacrime e gli applausi di parenti ed ex dipendenti della multinazionale, ha giocato anche un brutto scherzo a un parente delle vittime che al momento della lettura, ha avuto un leggero malore. È stato portato fuori dall’aula ed è stato soccorso dagli operatori della Croce Verde e dal 118. A tre anni dalla strage in cui hanno perso la vita Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone, una sentenza della magistratura italiana ha stabilito che Espenhahn, come sosteneva l’accusa, aveva deciso di posticipare i lavori per la messa in sicurezza dello stabilimento di Torino a una data successiva a quella della prevista chiusura e del trasferimento a Terni, nonostante sapesse il rischio che correva.
Aveva deciso quindi, in modo consapevole, di accettare il rischio che si potesse verificare un infortunio mortale, preferendo “una logica del risparmio economico” rispetto alla tutela della sicurezza dei lavoratori. Per la prima volta nel mondo del lavoro è stato riconosciuto l’omicidio volontario con dolo eventuale. Una svolta, come ha detto al termine della lettura della sentenza, alla presenza anche del procuratore capo Giancarlo Caselli, lo stesso Guariniello: «Questa condanna può significare molto per la salute e la sicurezza dei lavoratori».