Il senso e la misura
I recenti attacchi perpetrati in Catalogna da una cellula di una setta takfiri, l’espressione più violenta dell’Islam salafita, hanno riaperto il dibattito intorno all’accoglienza dei rifugiati. Nelle reti sociali appaiono opinioni che sembrano più il sintomo di un vuoto culturale sempre più grande che un dialogo serio e profondo. E pare che la pancia – più che il cervello o, ancor meglio il cuore – siano i formatori di questi punti di vista: «Sono troppi», «non se ne può più», «sono violenti», «sono terroristi», «sono disposti a sterminarci», «un giorno sgozzeranno i nostri figli e le nostre mogli», «vivono meglio dei nostri poveri», «costano troppo»…
Pare che ciascuno prima di stendere due righe su Facebook o su Twitter abbia realizzato un’inchiesta, realizzato un censimento, indagato sulle opinioni di ciascuno, verificato l’entità del “problema”. La massima parte di queste affermazioni sono state smentite dai dati ufficiali, anche in merito al contributo dei migranti alla nostra economia.
A molti direttamente sfugge il punto di partenza della questione, che provoca un incremento di rifugiati e migranti. Ed i media non fanno granché per aiutare a sviscerarlo. Vari Paesi europei, in particolare Francia e Regno Unito, ma anche Spagna, Italia, Olanda, Germania… e la lista è lunga, sono responsabili diretti, insieme ai loro alleati interni ed esterni della Nato, del caos in cui abbiamo gettato Libia, Siria, Iraq, Afghanistan ed altre aree di tensione nel Magreb, nell’Africa subsahariana e in Medio Oriente. Con un elevato grado di irresponsabilità, hanno stretto collaborazioni e alleanze commerciali con i principali diffusori e finanziatori delle correnti salafite e wahabite che sono alla base della predica violenta del jihadismo. Mi riferisco alle monarchie del Golfo Persico, con i sauditi in testa. Date un’occhiata ai patrocinatori delle grandi squadre di calcio e ditemi se non ci vedrete apparire spesso le compagnie di bandiera di questi Paesi. I sauditi hanno anche a loro carico la direzione della Commissione Onu dei diritti umani! Uno dei principi sauditi è stato insignito in Francia dalla Legion d’Onore. Un vero e proprio cadavere nell’armadio del governo transalpino.
Esiste poi un fattore di sottosviluppo economico che l’Occidente non ha mai modificato nella sostanza, nonostante la predica: «Aiutiamoli a casa loro». Vari Paesi di origine dei migranti sono ex colonie nei confronti delle quali si applica lo stesso schema di scambio commerciale utilizzato negli anni di dominio diretto. Anche questo sfugge spesso ai riflettori dei media, che poi dedicano tempo e spazio ad analizzare l’operato delle Ong spesso infangate ingiustamente. Specchi per le allodole non mancano.
Ma quello che spesso sfugge alla visione degli opinionisti domenicali sulle reti sociali, ai politicanti con l’occhio furbetto sempre posato sui sondaggi di opinione, ai funzionari pubblici ed ai media con poca voglia di usare Internet in modo più creativo del “copia e incolla”, è la portata di questo esodo di disperati. Se lo facessero, saprebbero che il vero problema di questa emergenza umanitaria lo patiscono altri, non noi. Mentre noi non abbiamo una idea chiara di quanti rifugiati stia accogliendo la nostra economia, tra le prime 8 del pianeta. Mentre l’Uganda, che di risorse non ne gode in eccesso, ne ha accolto circa un milione solo dal vicino Sudan del Sud. Avete letto bene: un milione.
Mentre anche in settori cattolici, c’è chi critica il “buonismo” del papa in merito all’accoglienza e alla protezione dei rifugiati, magari sorseggiando una birra su una delle nostre spiagge, la sola cattedrale sudsudanese di Wau accoglie 10 mila sfollati, tutti con la speranza che i combattenti della guerra civile che dura da tre anni e mezzo vogliano almeno rispettare questo luogo sacro. Avranno le nostre italiche parrocchie accolto 10 mila rifugiati?
In Libano le cose non vanno meglio, o forse sì, almeno sul piano della solidarietà: i rifugiati provenienti dalla Siria sono tra 1,2 e 1,5 milioni. Difficile stabilire il numero esatto. Su un totale di 6,2 milioni di abitanti sparsi su 10 mila km quadrati. Noi ne abbiamo ricevuti tra 170 e 180 mila in totale, abbiamo 300 mila km quadrati e «non ne possiamo più». Non pare una proporzione apocalittica tra stato di necessità e risorse disponibili, anche in tempi di crisi.
Ma andiamo avanti. La Turchia ne ha ricevuti circa 2,7 milioni. Ma lo accettiamo: le hanno passato 6 miliardi per farlo i Paesi della Ue. Non è il caso del Pakistan, che ne ospita circa 1,3 milioni. Ma guarda tu, anche l’Iran ne accoglie un buon numero, vicino al milione.
Anche l’Etiopia – che a Napoli si direbbe che non ha nemmeno occhi per piangere – ci supera: ha ricevuto circa 750 mila rifugiati e non lo leggiamo sui nostri media difensori dell’identità culturale italiana e cristiana, come se entrambe non fossero parenti strette della solidarietà. E poi c’è la Giordania, che non è un Paese ricco, anche lei con circa 700 mila rifugiati. Quanti ne ha accolti la Germania, l’unico Paese europeo in questo ranking dell’accoglienza, seguito da Repubblica Democratica del Congo e dal Kenya, con circa 400 mila rifugiati. In tutti i casi, almeno il triplo di quanti sono arrivati in Italia. Nessuna di queste economie, meno quella tedesca, è comparabile alla nostra. E, se si vuole, possiamo analizzare l’accoglienza che avviene regionalmente tra i Paesi sudamericani. Solo il Venezuela, durante gli anni di guerra civile in Colombia ha accolto 5 milioni di sfollati.
Non sarà allora il caso di stabilire le proporzioni più esatte della problematica? Di rivedere le fonti da dove attingiamo le nostre opinioni e di agire, come società civile, per mettere in moto una politica seria che non si copra di ridicolo di fronte a quanto avviene in Etiopia, Libano o Uganda?
È vero, queste situazioni assorbono risorse, generano problematiche attorno a culture e costumi diversi. Vanno segnalate. Ma, al farlo, non ci succeda, come avvertirebbe il celebre Totò, di perdere «il senso e la misura».