Sensibili alla grazia

Quando Dio ha ottenuto lo scopo che voleva ottenere, cioè che la persona diventi più sensibile al soprannaturale, allora fa sparire queste prove. La persona entra allora in un nuovo stato e si chiede come mai abbia avuto i problemi di prima. Non sa neppure quando e come siano spariti, proprio perché si è entrati in una fase del tutto diversa della vita spirituale. È questa nuova fase un periodo in cui – ormai più sensibile a Dio – si incomincia a donarsi molto: c’è un’attività quasi instancabile; si aiutano alla conversione tante persone o si vivificano intere comunità cristiane; ci sono mille frutti spirituali che danno gloria a Dio. Ma se la persona è adesso avanzata e cresciuta spiritualmente, si sono pure sviluppati più chiaramente in lei tanti germogli nascosti che possono essere di impedimento per la sua unione con Dio e il suo amore verso il prossimo. Questa persona che incomincia a portare frutti è come una pianta che deve essere potata dall’agricoltore, perché in tutto il suo fare non c’è Dio solo come movente. Tutte le sue forze sono in donazione, anzi non può fare più di così, non può agire in modo diverso, a un altezza spirituale diversa; porta tanti frutti perché è mossa da Dio. Ma non essendoci Dio solo vengono fuori anche delle difficoltà, delle critiche, delle persecuzioni. E così, in genere, sopravvengono prove che sembrano tipiche di questo periodo e che servono a purificare questa persona ancora più profondamente. Una prima prova, che fa soffrire molto, deriva dalle incomprensioni delle persone presso cui viene svolta l’attività apostolica. Si soffre perché non si riesce a capire come mai dopo essersi messi con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze ad amare delle persone, queste stesse persone che sono state così aiutate, così seguite, comincino poi involontariamente o volontariamente a criticare. È una sofferenza che può provocare una reazione di asprezza. Colpiti da questi giudizi, invece di riconoscere che quanto si faceva era un miscuglio di amore e di egoismo, c’è il pericolo di metterci a criticare a nostra volta. È la tentazione di chiudersi, di ribellarsi, di non accettare più quell’ambiente, di volersi ritirare, e ciò potrebbe rallentare la nostra andatura spirituale. Ma Dio permette tutto per il nostro bene, per farci progredire, e bisognerebbe essere così nell’amore da accettare tutte queste contrarietà e da riuscire a vedere il positivo che c’è in esse per noi. Un’altra prova può venire perché, pur donandoci molto ai fratelli, tuttavia non si ottengono frutti, perché il nostro linguaggio è ancora così poco di Dio che incide in superficie ma non in profondità, o almeno così può sembrare. C’è allora il pericolo dello scoraggiamento o di dare la colpa a mille circostanze esterne e alle difficoltà esistenti. Un’altra prova, in questo periodo, può venire dall’impressione che gli altri non capiscano tutto il bene che si è fatto e si sta facendo. E anche questo dolore nasce da quella parte di amor proprio che è tuttora agganciata a quanto di buono si sta realmente operando. Insomma, in tutti questi casi la situazione è in questi termini: la persona si è donata veramente, ha fatto del bene, però Dio vuol portarla su un piano superiore. Si tratta di andare oltre il darsi da fare, si tratta di scoprire che c’è un mondo diverso al di là di tutto l’attivismo. Ebbene, qui occorre saper cogliere queste grazie di Dio che sono veramente grandi. Altrimenti si potrebbe restare lì fermi per anni. Queste prove del resto vengono quando uno ha già lavorato per Dio, non quando uno non ha fatto nulla: a costui, infatti, Dio non potrebbe chiedere niente. Se si superano, ci si incomincia ad accorgere che Dio ci ha chiamati a una maggiore unità con lui e si capisce che quanto ci veniva detto non era sbagliato: serviva a purificarci da quell’amor proprio che era mescolato al bene che potevamo fare. Anche qui perciò la purificazione necessaria viene a compiersi nell’unità con i fratelli. In un primo tempo, dunque, nell’amore ai fratelli si trova la nostra mortificazione; poi l’amore ai fratelli ci consente di superare le prime prove interiori; infine la verità che ci viene espressa dai fratelli elimina in noi quei difetti dei quali non ci accorgevamo, e che neppur pensavamo di avere. Questa purificazione può già essere chiamata passiva perché uno non riuscirebbe a operarla da solo. Perciò è molto importante in questo periodo della vita spirituale – specialmente per una persona che è fervida di idee, di iniziative e che vorrebbe fare chissà che cosa – ascoltare gli altri e rimanere nell’umiltà, posponendo anche le proprie idee a quelle degli altri. È una buona purificazione della mente, della volontà, del cuore. Anche in questo fase è soprattutto nell’unità con il prossimo che si trova la palestra migliore per purificarsi, come mai da soli riusciremmo così celermente. Se veramente comprendiamo che nel fratello che ci dice la verità riguardo ai nostri difetti c’è Gesù che ci purifica, e se riconosciamo che quanto ci si dice è giusto, anche se ci è doloroso e non lo capiamo subito, avviene che la verità ci fa liberi e i difetti stessi spariscono. Bisogna arrivare perciò all’unione fraterna con gli altri anche quando ci sentiamo criticati e giudicati. Se per caso qualcosa di quello che gli altri pensano di noi non è esatto, cadrà da sé anche nella loro mente, proprio perché l’amore e l’unione fraterna fanno vivo e reale solo ciò che è conforme alla verità di Gesù. È soprattutto quando uno non si sente capito dagli altri che deve amarli, perché gli altri vedono i difetti che noi non vediamo. È inutile credersi incompresi. Gli altri ci portano la voce, gli avvertimenti di Dio ed è nell’unità col prossimo, con tutti i fratelli, che si è oggettivi e si ritrova veramente noi stessi nel posto nel quale dobbiamo ritrovarci. Bisogna dunque stare ben attenti a non ascoltare i fratelli e a non cogliere queste grazie. Ci vorrebbe per questo una profondità, un’umiltà, una serenità anche, una docilità piena che una persona non ha ancora, ma che, passando queste prove, acquista. Se avesse questa maturità sarebbe già in un altro periodo della vita spirituale, e forse non succederebbero neppure attorno a lei tutte queste contrarietà. Se non si è aperti a quanto Dio ci vuole dire attraverso i fratelli, si può correre il pericolo di isolarsi, di crearsi un mondo nel quale si trova una certa apparente unità con Dio, una certa apparente unità con un circolo ristretto di persone, con quelle soltanto che ci appoggiano e ci capiscono. Ma se si ha un’unità con Dio che ci isola dal prossimo, non viviamo certamente una vita spirituale autentica. Più è intima e vera l’unità con Dio, più si avrà l’unità col prossimo, con tutti i prossimi. Anche in questa tappa della vita spirituale, come si vede, la strada maestra è l’unità, e Gesù ci purifica servendosi proprio dei fratelli, portandoci così ad una perfezione che sarebbe molto più difficile da raggiungere se fossimo da soli. Amare il prossimo, tenere Gesù in mezzo coi fratelli, vivere l’attimo presente, amare la croce, ecco la strada maestra – ripeto – in ogni momento della nostra vita. Quando una persona ha superato queste prove, cui ho adesso accennato brevemente, è molto più delicata, molto più fine. Ovunque va porta frutti spirituali e si sviluppa attorno a lei una grande fioritura di vita soprannaturale; a volte basta un semplice saluto, una parola perché gli altri sentano la presenza del divino nel mondo. E difatti Dio agisce molto più liberamente in lei. È un periodo bellissimo: non è che non ci siano prove, però questa persona ha ormai incominciato a dimenticare per davvero sé stessa, proprio perché è presa dalla vita di Dio e dall’amore del prossimo. Le purificazioni, più che a difetti, sono dovute al fatto che Dio vuole che l’anima sia staccata da tutto quello che fa. È a questo punto che, a mio avviso, una persona è così matura da capire di dover fare una nuova scelta di Dio. Infatti, quando una persona cresce nella vita spirituale e perde tante cose di sé, si accorge ad un certo momento che nel suo agire per Dio non vi è solo l’amore puro di Dio, ma vi è anche dell’attaccamento a sé, benché non voluto, e altri motivi buoni ma che non sono il solo amore di Dio. Questa persona sente invece di dovere vivere ora solo per amore di Dio. Comprende che lui solo vale vera. mente e che il resto non ha nessunissima importanza: non conta niente se la trattano bene o male, se è malata o sana, se può lavorare o se è inattiva, se viene interpretato bene quello che fa o se non viene interpretato bene. Solo la volontà di Dio la attira e lei la fa prescindendo da quello che può avvenire perché anche quello non le importa più. Per lei conta solo quello che conta per la gloria di Dio, perché ormai le interessa solo l’amore di Dio e la sua gloria. Fatto questo passo, che solo Dio ci porta a fare attraverso – penso – un aiuto specialissimo di Maria, si incomincia – si può dire – a vivere in pienezza la vita spirituale. Anche se non sarà mai possibile vivere d’amore puro, questo atteggiamento dell’anima può divenire però prevalente e dominante nelle nostre azioni. Una persona arrivata a questo punto è ormai come scattata al di là di quello che poteva considerarsi la preparazione spirituale. Tutte le tappe precedenti, infatti, erano solo una preparazione per arrivare a vivere così per Dio in una maniera più piena. Era come una vita spirituale da bambino o da ragazzino con continue prove esterne dovute all’amor proprio e ai tanti attaccamenti e difetti. Queste prove non erano ancora le prove vere, se così si può dire, che sono quelle che Dio manda e che Gesù stesso ha passato pur non avendo lui nessun bisogno di purificazione. Le prove che incominciano a questo punto della vita spirituale fanno parte della notte dello spirito che sradica dal nostro cuore le tendenze negative che la notte dei sensi aveva lasciato. È una purificazione che avviene attraverso scrupoli, annebbiamenti, a volte anche calunnie o malattie serie e stanchezza eccessiva che vanno al di là della semplice vita normale e nelle quali a volte si sente anche la presenza del demonio. Queste malattie, che possono essere lunghe e anche misteriose, servono per la purificazione del nostro corpo e portano un grande sviluppo spirituale. In alcune persone tutto questo è molto chiaro e a un certo momento tali malattie spariscono, e spariscono proprio perché facevano parte della prova di Dio. Possono anche essere le stesse malattie di tutti, ma in ogni caso le sofferenze di una persona così unita a Dio hanno un valore completamente diverso, di riscatto personale e di redenzione per tutti. È una sofferenza che conforma a Gesù crocifisso, che viene scoperto vitalmente e con il quale si è uniti nella passione. In queste persone si realizza quanto dice l’epistola ai Colossesi: Completo nella mia carne quello che manca ai pertinenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la chiesa (Col 1, 24). In questo periodo anche l’apostolato cambia sostanzialmente. Mentre prima la persona, piena di entusiasmo, si dava tanto da fare, ora sembra come ferma. Le sue parole però e le sue azioni toccano talmente in profondità gli altri che anche nei posti apparentemente più insensibili alla grazia di Dio, suscitano conversioni e fanno nascere vocazioni. E la sapienza che penetra e trasforma. E tutto questo avviene senza il minimo chiasso. Penso che è soprattutto a questo punto della vita spirituale che Dio usa di queste persone in maniera particolare facendole capaci di compiere quelle che si chiamano le opere di Dio. Cos’è un’opera di Dio? È un’opera che Dio fa prescindendo, in certo senso, dalla persona che egli adopera per farla. Dio vuole sempre la nostra collaborazione, ma in questo caso si vede che l’azione della persona è così piccola e sproporzionata in confronto a quello che fa Dio, che è evidente che è Dio solo che fa. Ed egli può agire perché questa persona è ormai così staccata da sé che non c’è più l’impedimento della creatura. Eppure, se non ci fosse stata questa persona non ci sarebbe neanche questa opera. Dopo che Dio ha adoperato certe persone per fare le sue opere, queste persone devono come sparire per testimoniare ancora di più che è lui che fa. Ora coloro che hanno avuto un disegno così speciale di Dio sono molto avanti nella vita spirituale e ad essi non importa più niente, non importa neppure che le opere siano loro. Tuttavia devono lo stesso perdere questo loro disegno che è la loro caratteristica spirituale. Il disegno di Dio non è l’essenza dell’anima, è il colore di un’anima che si identifica anche con l’anima stessa. Quindi perdendo ciò, queste persone perdono in certo senso la loro anima, ma trovano Dio in un’intimità più profonda e più grande ancora. È un passo enorme che Dio richiede solo ad alcuni e che si può considerare l’apice della notte dello spirito, e anche, al di là della stessa notte dello spirito, esperimentare una notte di Dio. Le persone che passano queste prove incominciano a vedere le cose con un occhio completamente diverso da prima, a penetrare in Dio e ad essere penetrate da lui. Egli infatti attraverso tutto questo vuole portarle a ciò che i mistici chiamano il matrimonio spirituale e cioè a quella unione così profonda di Dio con l’anima che essa può dire in verità: Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20). Questo sposalizio totale è la meta nostra, cui dovremmo arrivare già qui in terra. In queste tappe così alte tutta la nostra vita spirituale rimane anche orientata verso il prossimo. Si hanno ormai occhi puri che permettono di scorgere il disegno di Dio sui singoli e sui popoli, si ha il dono del discernimento e si vede con sempre maggiore chiarezza nell’anima degli altri. Si potrebbe infatti descrivere tutto il cammino spirituale da quest’altro punto di vista e mostrare come, man mano che si va avanti, si discerne meglio la presenza di Dio negli altri e ci si unisce sempre di più con loro. Questa unità non è però un’unione sensibile, sentimentale, affettiva. Può essere un’unità di persone che non si vedono mai o raramente perché ormai sono così purificate, così in Dio, che aumentando l’unità con Dio aumenta anche l’unità fra loro. Anche qui tutto è dunque legato e congiunto all’amore verso il prossimo e alla vita di unità con i fratelli. E a mano a mano che si progredisce nel contatto con Dio, anche l’amore e l’interesse per i problemi dell’umanità si allargano e si universalizzano. I problemi della chiesa e dell’umanità diventano problemi nostri, non per uno sforzo della volontà, ma per un consentire alle sofferenze della chiesa e dell’umanità. È ciò che si vede in tanti santi che si sono immedesimati nei problemi del loro tempo e dei loro paesi, dando soluzioni insieme spirituali e sociali. È l’innesto con Cristo, sempre più profondo, che porta le persone a sentirsi sempre più congiunte a tutta l’umanità. Cristo infatti è l’alfa e l’omega della nostra vita spirituale.

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