Senegal, lavorare per rimanere in patria

Dopo aver perso suo figlio, naufragato al largo delle isole Canarie mentre cercava di arrivare in Europa, Yayi Bayam Diouf ha avviato un progetto per aiutare le donne e i giovani a rimanere nel proprio Paese.

Sopravvivere a un grande dolore, risollevarsi e aiutare tante altre famiglie. È la storia di Yayi Bayam Diouf, nata a Thiaroye su Mer, un ex villaggio di pescatori nell’interland di Dakar, la capital del Senegal, dove la pesca industriale dei pescherecci stranieri ha soppiantato quella tradizionale, creando povertà e riducendo le prospettive per il futuro.

In questo Paese africano il disagio sociale e la disoccupazione spingono tanti giovani a lasciare la patria in cerca di lavoro. Tra questi, anche il figlio ventisettenne di Yayi che, insieme ad altri 81 ragazzi, è partito dalle coste del Senegal su una piroga e, nel tentativo di raggiungere l’Europa, è annegato al largo delle isole Canarie.

Una tragedia come quella di tante altre madri costrette a veder partire i propri figli e a separarsi da loro. Da questa esperienza, però, Yayi Bayam Diouf, è riuscita a trovare la forza di rialzarsi e ha deciso di fondare un’associazione per sensibilizzare donne e giovani del Senegal sui rischi delle migrazioni irregolari. È nato, così, il Collettivo delle donne per la lotta all’emigrazione clandestina (Coflec) con lo scopo di creare opportunità di lavoro per le donne e i giovani per farli rimanere in patria e offrire loro una vita dignitosa.

Una grande scommessa, quella di questa madre, che crede fermamente che in Senegal le donne possano “fare la differenza” e contribuire a portare un cambiamento in una società con una mentalità patriarcale profondamente radicata in molte comunità, in cui la donna deve occuparsi esclusivamente della cura della casa e dei figli. In questi anni,Yayi ha deciso di rivolgersi ai membri delle comunità patriarcali per convincerli che le donne possono essere una risposta al problema dell’emigrazione irregolare. Se una donna lavora, infatti, può mandare i figli a scuola, garantendo loro un’istruzione e un’alternativa alle migrazioni.

Il Collettivo delle donne per la lotta all’emigrazione, oltre a promuovere opportunità di formazione e di avvio al lavoro nella zona di Thiaroye su Mer, gestisce un fondo di credito rotativo per sostenere l’organizzazione di microimprese che sviluppino attività sostenibili nei Paesi d’origine. Fondamentale è stata in questi anni la collaborazione con “Ponti”, un progetto cofinanziato dal Ministero dell’interno per contribuire a contrastare le cause delle migrazioni in Senegal ed Etiopia promuovendo l’occupazione delle donne e dei giovani, di cui Coflec è partner insieme a venti organizzazioni italiane e internazionali. ‘Ponti’ è un progetto ideato da Arcs-Culture solidali, realizzato da oltre venti ong italiane ed estere di cui Coflec ha fatto parte in partenariato con un’altra ong italiana, il Cipsi.

Grazie a ‘Ponti’ è stato possibile fare ascoltare di più la voce delle donne: è stato aperto uno sportello che accoglie e orienta molte persone provenienti da Dakar e dalle zone limitrofe, di cui la maggior parte sono giovani dai 18 ai 30 anni, che hanno ottenuto un accompagnamento finanziario per il loro progetto imprenditoriale. Un’alternativa per superare situazioni economiche molto difficili senza essere costretti a emigrare.

Secondo uno studio accademico realizzato in Senegal, il 75% dei giovani vorrebbe emigrare perché convinto di non riuscire a trovare opportunità lavorative nel proprio Paese. Tramite lo sportello di orientamento, sono state raggiunte 550 persone da novembre 2017 ad oggi; 166 giovani e 244 donne hanno ottenuto finanziamenti per avviare microimprese.

Insieme ad altre donne che hanno perso i figli a causa dell’emigrazione irregolare è stato possibile organizzare incontri di sensibilizzazione per informare i giovani e gli studenti nelle scuole sui rischi delle partenze irregolari. Coflec ha anche potuto predisporre corsi di formazione professionale. Durante le attività di sensibilizzazione molti giovani hanno deciso di non partire più: hanno trovato alternative che hanno dato loro la possibilità di rimanere in Senegal, credere nelle proprie capacità, mettere a frutto i talenti e trovare un lavoro.

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