Senegal: l’amicizia tra cristiani e musulmani
La regione del Sahel, vista dall’esterno, è spesso correlata al complesso panorama determinato dalla congiunzione di crisi di sicurezza e umanitarie, a violenti attacchi dell’estremismo jihadista, a colpi di stato ed agli effetti dei cambiamenti climatici.
Eppure, per esempio dal punto di vista della maggioranza musulmana, c’è una grande attenzione a non fare confusione tra l’Islam come fede e il fondamentalismo islamico come ideologia. E per quanto riguarda i rapporti tra credenti cristiani e musulmani, il Senegal, Paese al cuore della regione, offre un esempio speciale di fraternità e solidarietà proprio durante il periodo pasquale.
Uno dei momenti che evidenziano questa intesa tra i fedeli delle due religioni è il Venerdì Santo. Nel giorno che ricorda la crocifissione e morte di Gesù Cristo, i cristiani condividono con i loro vicini e conoscenti musulmani un piatto chiamato “ngalakh”.
Il ngalakh è il primo sapore che viene in mente quando si parla di Pasqua in Senegal. Si prepara con il thiakry, un tipo di semolino comunemente usato in Africa occidentale, con l’aggiunta di frutto del baobab, noce moscata, latte, zucchero e crema di arachidi. Il ngalakh ha una consistenza semiliquida e viene servito con cocco grattugiato, fette di banana e uvetta.
Le famiglie cristiane si riuniscono presto il venerdì a casa di un anziano e cucinano una quantità di ngalakh sufficiente per quasi tutto il vicinato. I giovani fanno una lista di vicini e conoscenti musulmani e distribuiscono a loro, entro il venerdì pomeriggio, la maggior parte del dolce.
«Le famiglie musulmane attendono in anticipo l’avvicinarsi della fine della Quaresima – racconta Amina, studentessa senegalese –. I recipienti di ngalakh riempiono i frigoriferi, e il piacere di ricevere questo dolce delizioso dai vicini cristiani è qualcosa di magico fin da quando siamo bambini».
Il ngalakh della tradizione pasquale è considerato oggi uno dei simboli dell’unità e della solidarietà tra musulmani e cristiani in Senegal. Qualche anno fa, padre Jaqcues Seck e padre Nicolas Biagui hanno parlato a La Croix Africa delle origini della tradizione del ngalakh.
Secondo padre Jacques Seck, sacerdote della diocesi di Dakar, la preparazione del ngalakh il Venerdì Santo è stata introdotta per la prima volta in epoca coloniale a Saint Louis, in Senegal, dalle signares, per compiacere i loro padroni. «I loro padroni cristiani digiunavano e alla fine del digiuno volevano prendere qualcosa di leggero; mangiare il meno possibile, senza prodotti di origine animale o pollame come carne e latte», ha detto padre Seck.
Oggi questa pratica è stata tramandata di generazione in generazione, con grande gioia di padre Nicolas Biagui della diocesi di Ziguinchor: «Sono pratiche locali, molto locali; non hanno nulla a che fare con la Chiesa. Ma se si inseriscono nella condivisione e nel consolidamento delle relazioni tra cristiani e musulmani, è positivo». Anche per padre Henri Sambou, della diocesi di Dakar, il ngalakh è un piatto di solidarietà.
Ma non è solo questa la condivisione: le due comunità, musulmana e cristiana, in Senegal celebrano insieme i giorni di festa e condividono i rispettivi cibi.
Dopo il mese di Ramadan, musulmani e cristiani festeggiano insieme il Korite (Eid al-Fitr) con piatti speciali. E durante il Tabaski (la festa di Eid al-Adha), i musulmani distribuiscono agnello arrosto ai loro amici cristiani durante la loro festa annuale.
Sottolineando che il ngalakh non è solo un dolce, la cristiana Hortensia Alaofary Kanfoudy ha dichiarato ad Africanews che «il ngalakh non è solo un dolce tradizionale ma anche un simbolo che rafforza il dialogo tra musulmani e cristiani. Questo è già il nostro principale desiderio. I musulmani offrono carne e cuscus ai loro vicini cristiani in occasione di Eid al-Adha, Ramadan e Ashura. Anche noi offriamo loro delle leccornie in occasione dell’Ascensione e del Natale. Questa condivisione in ogni festa religiosa rafforza il dialogo e l’unità».
Rokhaya Diagne, musulmana, ha detto che musulmani e cristiani vivono insieme non solo nella società ma anche nella stessa famiglia. «Ogni anno cuciniamo il ngalakh a casa di mio nipote. Io sono musulmana, mia sorella è cristiana. Non ci vediamo in modo diverso. Questa solidarietà è unica in Senegal. Durante il Ramadan, i cristiani ci offrono l’iftar e noi offriamo loro del cibo durante la Quaresima. Ci prendiamo cura l’uno dell’altro in ogni festa religiosa. Sono orgogliosa di tutto questo».
Un vicino musulmano dopo aver ricevuto in dono il ngalakh, ha detto che musulmani e cristiani credono nello stesso Dio e che nessuno giudica la religione degli altri: «In Senegal, tutti rispettano la religione dell’altro, nessuno è in competizione e pensa: il mio credo è superiore al tuo. Qui viviamo pacificamente insieme ai cristiani».
In una conversazione con La Croix Africa, Abdou Khadr Sanokho, dottore in sociologia e accademico, sostiene che il punto di partenza di questa bella convivenza è legato soprattutto alla parentela: «Ci spinge verso questa sensibilità interculturale religiosa che ammette le differenze religiose», spiega.
Per questo in Senegal non dà fastidio ad un cattolico dire “Inshallah” o augurare buon Gamou o Magal [i principali eventi religiosi in Senegal]”, né a un musulmano dire “Alleluia” durante la festa di Pasqua.
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