È sempre colpa sua?
Matilde pensa che sia tutta colpa di suo marito se lei non riesce ad essere felice, a farsi degli amici o ad avviare il suo lavoro indipendente. Miriam pensa che il fidanzato debba smettere di essere pesante. Luca vorrebbe che la moglie fosse più spensierata. Daniele desidera incontrare una ragazza semplice e non complicata come le ultime che ha conosciuto. Quando Giancarlo e Francesca litigano, lui afferma in modo stizzito: «devi dimostrare sempre che sia colpa mia».
Ciascuno di loro attribuisce una colpa e anche un “potere” all’altro. Finché si resta radicati in meccanismi duali torto/ragione, la dialettica è interrotta, la dinamica implica vittime e carnefici, vincitori e vinti. È sicuramente, un meccanismo tutto/nulla che abbiamo sperimentato qualche volta nella vita, se questo diventa una modalità perpetua all’interno della relazione a due rischia di mettere a dura prova la coppia.
Ogni rapporto tra due o più persone è fatto di scambi e punti di vista differenti, modalità che si incastrano in modo funzionale o talvolta in modo disfunzionale. Vorrei condividere tre consapevolezze frutto di anni di studio, di attività professionale e di vita matrimoniale riguardo alle relazioni e ai conflitti di coppia.
La prima consapevolezza: se non ci mettiamo in discussione poco si può risolvere!
La rigidità con cui si cristallizza il pensiero “è colpa sua”, è un’arma potente di distruzione, che viaggia insieme ad emozioni di risentimento, rabbia, e oppositività.
Finché l’occhio di bue è indirizzato verso l’esterno, siamo radicati nella lamentela, non ci muoviamo dallo stato di sofferenza, è possibile che andiamo ad alimentare il conflitto con sarcasmo, disattenzioni e poca vicinanza. Al contrario, essere consapevoli che siamo parte attiva del conflitto, che anche “Io” dò il mio contributo alla relazione, sia in modo costruttivo che distruttivo, è un bagno di umiltà che genera un atteggiamento più compassionevole, attento e aperto.
La seconda consapevolezza: se provo rabbia, paura, tristezza, delusione in una situazione o in risposta a un atteggiamento dell’altro, le emozioni che provo sono “mie”. Sono emozioni che mi appartengono, mi stanno dicendo qualcosa. La domanda da porsi è: quale è il messaggio che mi sta dando l’emozione, cosa mi sta dicendo? Cosa dice di me e della mia storia personale il problema che sto cercando di affrontare?
La terza consapevolezza: credo nel valore dell’altra persona anche se ha potuto sbagliare in qualcosa. Penso che in ciascuno e nella persona che ho scelto accanto c’è un potenziale positivo? Credo che abbia le risorse per poter affrontare insieme a me un problema? Penso che ci siano infinite soluzioni diverse attuabili?
Queste tre consapevolezze possono essere un utile detonatore all’arma distruttiva del: “è colpa tua”. Possiamo riaprire un dialogo con il partner cambiando terminologia, «è colpa nostra o non è colpa di nessuno». È quello che è, abbiamo fatto il possibile, siamo esseri umani e fallibili.
Quando attribuiamo la colpa all’altro oltretutto ci solleviamo anche dal “potere” che ciascuna persona ha su una determinata situazione, potere inteso come possibilità di essere agente attivo di cambiamento; poter fare o essere qualcosa di diverso da ciò che genera malessere.
A volte ci possono essere vicoli ciechi in cui è davvero difficile trovare un punto d’accordo, e anche in queste situazioni, possiamo ritrovare la serenità riconoscendo la diversità di ciascuno, lasciando la libertà all’altro di essere se stesso.
Infine, rubo le parole di Maria Grazia Cancrini e Lieta Harrison, esperte di problemi di coppia: «la soluzione dei conflitti veri o supposti tra uomo e donna non si attiva sempre solo con la parità, ma più spesso con la libertà. […] Accettare l’altro per quello che è non può essere subire l’altro o rassegnarsi, ma semplicemente amare l’altro. Essere felici che l’altro sia quello che è».
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