Semplicemente Rita

Dopo una lunga malattia, si è spenta la signora dell’antimafia, così era nota a tanti anche se lei si scherniva da qualsiasi titolo. La morte del fratello Paolo Borsellino l’aveva spinta a prenderne il testimone. Ha chiesto fino alla fine la verità su via D’Amelio e lo scorso giugno i giudici hanno ammesso depistaggi e incongruenze. Il suo resta un esempio di coerenza e di fedeltà alla memoria delle vittime di mafia.

L’ho conosciuta durante le elezioni europee del 2009 a Palermo. Una delle sue collaboratrici mi aveva ingaggiata nell’ufficio stampa e il primo giorno che vi ho messo piede Rita mi ha accolto con il suo sorriso semplice e gli occhi azzurri di famiglia. Io ho tentato di pronunciare la parola onorevole, ricordandomi della sua elezione all’assemblea regionale siciliana, ma mi ha bloccato alla prima sillaba dicendomi: «Rita, io sono solo Rita». Poi la frenesia dell’agenda elettorale ci ha travolte: incontri a tutte le ore, interviste, lettere e inviti, tanti viaggi tra la Sicilia e la Sardegna, ma quasi tutte le volte che varcava la porta della segreteria la prima domanda era: «Come stanno i miei ragazzi?». La sua affinità con i giovani era proprio speciale: la segretaria personale aveva appena 26 anni e gran parte della nostra squadra di lavoro viaggiava sotto i trenta. I giovani avevano la priorità nei suoi molteplici appuntamenti e se doveva scegliere tra i notabili che gli avrebbero garantito i voti e i giovani, sapevamo già chi avrebbe vinto la partita: i ragazzi. L’ascolto per le loro proposte, per le idee stravaganti sugli incontri nelle piazze, per le risposte ai media e alla gente comune era pari a quello riservato ai suoi consiglieri storici che vantavano curriculum ed esperienze ben più ampie di noi under 30, dai trascorsi più vari.

Rita non usciva mai da un incontro senza chiederci un parere: quante volte ci ha sorpresi scegliendo contro la ragionevolezza adulta, il nostro entusiasmo e i nostri suggerimenti talvolta fuori da ogni schema. «I giovani mi danno coraggio, mi fanno vedere il nuovo, mi aiutano a capire», spiegava a chi si sorprendeva di questa predilezione. Ci ha voluto al suo fianco quando ad attenderla c’erano le folle e ci voleva accanto quando l’amarezza per un tradimento, un voltafaccia, una menzogna, la travolgeva. Non si nascondeva e non voleva nasconderci la crudezza della vita, anzi era lì a mostrarci come ne soffriva e come affrontarla da persone libere, integre, migliori perchè questo glielo aveva insegnato lo strazio di fronte all’eccidio di via D’Amelio, la tomba di Paolo, la sua casa. Più volte accompagnandola davanti a quella soglia, dopo una lunga giornata di campagna elettorale, mi chiedevo come facesse a passare, con tale naturalezza, a fianco di quella lapide con i nomi del fratello e degli agenti della scorta. Ho osato chiederle se non avesse mai pensato di andarsene e cercare casa altrove. Mi ricordo il suo sguardo serio mentre mi rispondeva: «Sono loro che se ne devono andare, i mafiosi, non io. Io ho diritto di restare qui nella mia casa, nella mia Palermo. Il progetto di Paolo non può finire perchè lo hanno ammazzato e questo me lo ripeto sempre passando davanti a questa lapide. C’è il lutto, c’è il dolore, ma c’è il dovere di portare avanti la memoria, cioè elaborare cosa è successo per costruire un futuro altro».
La Rita farmacista e madre diventata la signora della lotta alla mafia perchè i bambini di una scuola l’avevano invitata a spiegargli il perché delle stragi; la sorella del giudice Paolo Borsellino, la politica elegante e mai virulenta, la presidente onoraria di Libera, l’amica di don Luigi Ciotti, la candidata sconfitta da Cuffaro alle regionali e da Ferrandelli alle comunali, l’instancabile cercatrice della verità tra i mille depistaggi di via d’Amelio è rimasta sempre e semplicemente Rita. E questo anche quando mesi di malattia stavano consumando il suo fisico, ma non smorzavano la sua tenacia e la sua grande fede: il suo spirito è rimasto forte anche su quella sedia a rotelle dove in tanti l’abbiamo vista durante l’ultimo 19 luglio.
Questa Rita semplice mi si è rivelata, la prima volta, durante un incontro indimenticabile nella biblioteca del quartiere Ballarò a Palermo. Erano presenti una trentina di donne e molte di loro agguerrite contro la politica e soprattutto contro i politici che avevano abbandonato il quartiere, e che ad ogni elezione da avvoltoi vi si precipitavano in cerca di voti per lasciarvi solo le carcasse della miseria e della criminalità. Rita aveva risposto con pazienza a tutte le domande, anche a quelle più pungenti e irritanti, ma quando una donna l’ha accusata di essere una privilegiata che non conosceva il sacrificio, la Rita nonna ha confidato con voce ferma che la sua era una vita di rinunce invisibili, come quella di quel momento: la sua nipotina le aveva chiesto di venire alla recita scolastica e lei invece aveva scelto di parlare in quella biblioteca. «Lei aspetterà che io arrivi, ma io non arriverò perchè sono qui ad accogliere il vostro dolore», ha concluso. Le donne, allora, sono tutte balzate in piedi, alcune commosse e l’hanno quasi spinta verso la porta, chiedendo alla scorta il prodigio di portarla in quella scuola quasi volando.

Da un incontro con Rita non si usciva indenni: non ti risparmiava la verità ed esigeva la verità, ma era sempre l’umanità a prendere il sopravvento. Tanti dei momenti delicati della sua carriera politica, vissuti in macchina tra un incontro e un altro restano riservati, ma è lì che ho conosciuto la sua fermezza, il suo rigore morale, la sua coerenza assoluta e la sua sorprendente generosità.
Nell’ultima intervista rilasciata per Città Nuova, nel 25mo delle stragi, è riuscita a trovare uno spazio per noi, nonostante le cure, il fuso orario, le celebrazioni imminenti. In una delle risposte ci diceva: «Io ho fatto di tutto perché la memoria di Paolo restasse viva nelle persone e questa è una parte che le donne fanno straordinariamente, ma io non sono Paolo: sono troppo diversa e non ho la sua competenza. La mia non è lotta contro la mafia perché io non posso fare nulla di scientifico o giudiziario come lui, ma in questa lotta io posso contribuire a formare una società diversa, dove le persone si comportino in modo tale che queste cose orribili accadute a noi non siano più possibili. Io faccio la mia parte perché un pezzo del mio Paese non sia territorio dominato, conquistato dalla mafia e che la democrazia sia veramente partecipata e ciascuno si senta responsabile della propria cittadinanza. Questo è quello che ho provato a consegnare ai ragazzi e questo me lo aveva insegnato Paolo che nelle scuole andava perchè credeva profondamente nel ruolo che i giovani potevano avere nel nostro Paese».

Arrivederci Rita, e grazie anche da tanti di questi giovani.

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