Semi di un’umanità nuova
Dopo 29 anni un papa e Firenze si riabbracciano. “Oggi Firenze era tutto cuore per lei, santità”, dice con un filo di commozione il suo arcivescovo, cardinale Betori. Il saluto di congedo avviene allo stadio “A. Franchi”, coloratissimo da oltre 40 mila persone. Una giornata, questo 10 novembre 2015, che entra negli annali della storia non solo della città, ma, si spera, della Chiesa in Italia.
Papa Francesco, prima dell’ultima benedizione prevista dalla liturgia, ci tiene a ringraziare. Nomina molti, si rivolge a tutti, ma un grazie personale lo dirige ai carcerati, a coloro «che hanno fatto questo altare dove Gesù oggi è venuto. Grazie per aver fatto questo per Gesù!».
Una celebrazione liturgica all’insegna della gente. Un filo rosso che unisce tutta la giornata.Papa Francesco s’introduce con parole offerte dal vangelo del giorno:«Lagente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?», domanda che tradisce l’interesse di Gesù per i pensieri e le convinzioni di chiunque. «Mantenere un sano contatto con la realtà, con ciò che la gente vive, con le sue lacrime e le sue gioie, è l’unico modo per poterla aiutare, formare e comunicare», afferma papa Francesco. E sottolinea: «I discepoli di Gesù non devono mai dimenticare da dove sono stati scelti, cioè tra la gente».
Poi la seconda domanda di Gesù: «Ma voi, chi dite che io sia?». Un rimando alla necessaria fede personale in Lui, che fonda l’identità e la missione del cristiano. La risposta di Pietro è nitida: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Papa Bergoglio vi trova la missione del ministero petrino: «custodire e proclamare la verità della fede; difendere e promuovere la comunione tra tutte le Chiese; conservare la disciplina della Chiesa». E continua: «Anche oggi la nostra gioia è condividere questa fede» che esige «andarecontrocorrente», superare cioè la diffusa opinione che, oggi come allora, vede in Gesù solo un profeta o un maestro e non «l’inviato del Padre, il Figlio venuto a farsi strumento di salvezza per l’umanità». Professione di fede che, sottolinea Francesco, «non rappresenta solo il fondamento della nostra salvezza, ma anche la strada attraverso la quale essa si compie e il traguardo a cui tende».
E torna ancora la gente.«Alla radice del mistero della salvezza sta infatti la volontà di un Dio misericordioso, che non si vuole arrendere di fronte all’incomprensione, alla colpa e alla miseria dell’uomo, ma si dona a lui fino a farsi Egli stesso uomo per incontrare ogni persona nella sua condizione concreta». Pietro riconosce Dio sul volto di Gesù. «Lo stesso volto che noi siamo chiamati a riconoscere nelle forme in cui il Signore ci ha assicurato la sua presenza in mezzo a noi»: nella Parola, nei sacramenti, nella comunione fraterna, nell’amore senza confini, nel povero «che ci ricorda come Gesù abbia voluto che la sua suprema rivelazione di sé e del Padre avesse l'immagine dell’umiliato crocifisso».
Una verità che scandalizza. Gesù, pur essendo Dio, si è svuotato e fatto servo, fino alla morte di croce. «È la verità che ancora oggi scandalizza chi non tollera il mistero di Dio impresso sul volto di Cristo». La comunione tra divino e umano, come avviene in Gesù, è il punto d’arrivo della storia umana. Ed è ciò «che si costruisce giorno dopogiorno con ogni bene che seminiamo attorno a noi… semi che contribuiscono a creare un’umanità nuova, rinnovata, dove nessuno è lasciato ai margini o scartato». Dio e l’uomo non sono in contrasto ma «si cercano da sempre». Questa la strada su cui incrociamo l’umanità «con lo spirito del buon samaritano».
Infine un richiamo a Firenze e al suo umanesimo che «ha avuto sempre il volto della carità», con l’augurio «che questa eredità sia feconda di un nuovo umanesimo per questa città e per l’Italia intera».