Semi di pace

Le esperienze di una delegazione di rappresentanti ebrei e palestinesi al centro della dell’iniziativa promossa dalla rivista Confronti
pace palestina

La scorsa settimana, con una serie di eventi in diverse città italiane, fra cui Roma, Firenze, Prato, Milano e Torino, si è svolta la XIV edizione di Semi di Pace. Un’iniziativa curata dalla rivista Confronti, capace di coinvolgere partner a livello ecumenico, come la Chiesa metodista di Roma e la comunità Valdese, esponenti dell’ambito politico e istituzionale – il sindaco di Torino Fassino, per esempio –, operatori nel settore dei processi di integrazione, come il Centro internazionale La Pira di Firenze, e varie scuole, che hanno voluto un contatto fra i loro studenti e i rappresentanti ebrei e palestinesi parte della delegazione proveniente da Israele.
 
Si tratta di persone che vivono il dramma del confronto ormai sessantennale in uno dei punti caldi della terra: la Terra Santa, emblema di quelle tensioni che portano le religioni sul banco degli imputati con l’accusa di fomentare odio e provocare scontri. Le esperienze di vita, spesso pluridecennali, dei testimoni di pace provenienti da questa zona calda del mondo, hanno invece permesso di vedere come i semi diano già dei germogli e come la pace non resti una chimera.
 
Yehuda Stolov e Morad Ahmad Muna, dell’Interfaith encounter association (Iea), per il dialogo interreligioso, Yuval Rahamim e Rihab Essawi, dell’organizzazione di parenti di vittime del conflitto, Parents’ Circle  (Pcff), e Daoud Boulos e Eitan Kremer, del villaggio cooperativo composto da israeliani e arabo-israeliani Neve Shalom-Wahat al-Salam (Nswas), hanno offerto uno spettro diversificato di come ci sia un impegno serio fonte, spesso, di rischio della propria incolumità da parte di tanti.
 
Le esperienze nella costruzione della pace sono assai diverse. Si va da un impegno a conoscersi come seguaci di fedi diverse (ebrei, cristiani e musulmani), tenendo la politica a debita distanza, concentrandosi piuttosto su momenti di comunione e di reciproca conoscenza, a un coinvolgimento amministrativo e sociale, come quello del villaggio di Neve Shalom-Wahat al-Salam, dove tutto è pensato, pianificato e realizzato fra ebrei e palestinesi in una convivenza che vuole essere modello sostenibile che ebrei e palestinesi possono condividere terra e amministrazione. C’è, poi, l’organizzazione di parenti di vittime del conflitto, il Parents’ Circle, che vede decine di persone colpite da lutti per la morte di cari nel corso di conflitti o atti terroristici, che hanno deciso di interrompere la catena dell’odio e della vendetta, per dare speranza a molti.
 
Si tratta di scelte tutt’altro che facili, come racconta Morad Ahmad Muna, che accompagna Yehuda Stolok a rappresentanza dell’Iea. Cresciuto con la mentalità che gli israeliani hanno occupato la nostra terra e quindi sono nostri nemici, «nel corso degli anni – riconosce – ho capito che siamo vicini e quindi dobbiamo imparare a convivere». Da qui la decisione di aderire a un gruppo che lavora per il dialogo fra ebrei, musulmani e cristiani, per conoscere l’altro. «Non è stato facile con quelli che hanno ucciso mio nonno e occupato la nostra terra. Ho preso questa decisione per costruire un futuro migliore per i miei figli». Il gruppo di Morad è composto da 15 persone. «Si cerca di conoscere le rispettive tradizioni religiose, si celebrano le festività insieme, crescendo nella convinzione che possiamo essere amici come esseri umani. Abbiamo scoperto di avere lo stesso scopo nella vita: vivere insieme».
 
Morad conclude con un momento forte della sua esperienza di dialogo: «Ci diamo anche da fare. Durante la seconda Intifada c’è stato un assalto a Ramallah e non c’era più da mangiare. Siamo andati a chiedere cibo per i bambini in quartieri di Gerusalemme abitati da ebrei. Ricordo la faccia del primo che ha aperto la porta. Mi ha fatto aspettare e poi è andato a prendere del cibo e me lo ha dato per i bimbi di Ramallah. Per me è stata una grande lezione. Dobbiamo deciderci a fare qualcosa per cambiare le cose rispetto a quello che mio padre mi ha insegnato».
 
Nel corso della presentazione dell’iniziativa Semi di Pace, che ha avuto luogo con una conferenza stampa presso la Camera dei deputati, Gian Mario Gillio, direttore di Confronti, ha sottolineato gli ostacoli che questi testimoni di pace incontrano. «Si tratta di organizzazioni che faticano nelle loro terre a portare avanti il lavoro di riconciliazione e di pace. Spesso queste realtà vengono osteggiate e isolate e dunque necessitano di aiuti economici anche dall’estero. Il conflitto vive oggi più che mai una impasse epocale e il pessimismo regna tra le parti. […] E non sembra si possano aprire spiragli futuri per un conflitto che si protrae da oltre sessant’anni. L’accordo tra Hamas e Al-Fatah recentemente siglato a Doha avrebbe dovuto risolvere in parte il problema della frammentazione politica palestinese, considerata una delle cause dei mancati accordi bilaterali. Tuttavia, questo avvicinamento tra Hamas e Al-Fatah è visto con seria preoccupazione dal premier israeliano. La via del dialogo e del riconoscimento reciproco sono l’unica soluzione possibile: un impegno che Confronti promuove in Italia proprio grazie alle testimonianze dirette di chi, malgrado sofferenze e difficoltà, continua ostinatamente a lottare per la pace».

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