Selma, tra favola e realtà
Il Värmland, regione della Svezia ai confini con la Norvegia, con i suoi racconti popolari e le sue tradizioni fantastiche è stato fonte ispiratrice di quasi tutti i romanzi di Selma Lagerlőf. Nata nel 1858 a Mårbacka, maestra elementare nella prima parte della sua vita, dopo il successo ottenuto con La saga di Gösta Berling si dedicava totalmente alla scrittura. La morte nel 1940 nella sua tenuta natale (nella foto). Varia, e ricca di temi che vanno dall'impegno religioso e sociale alla letteratura per l'infanzia, la sua produzione. A mo’ di esempio, sentite questo assaggio de Il carretto fantasma (edito per i tipi di Robin) che se non è una delle opere più note della Lagerlöf, è stata tra le prime pubblicate dopo l'assegnazione a lei, prima donna eletta fra gli accademici di Svezia, del Premio Nobel nel 1909.
Notte di Capodanno. Nel giardino accanto ad una chiesa tre vagabondi alcolizzati si raccontano storie. La più strampalata è quella di David, il più giovane: riguarda un suo amico morto in una notte come quella, al rintocco della mezzanotte, dopo una vita nel terrore di tale prospettiva in quanto convinto di essere predestinato a guidare il “carro della morte” per un intero anno, sostituendo l'orrido carrettiere di turno fino al successivo Capodanno (riferimento ad un mito di origine bretone).
L'incredibile racconto degenera in rissa tra ubriachi e David, già malato ad un polmone, ha la peggio: i colpi ricevuti gli provocano una emorragia e lui viene abbandonato morente sul prato. Proprio in quel momento l'orologio della torre comincia a battere la fatale mezzanotte. Un cigolio sinistro annuncia l'arrivo di un carro montato da un figuro munito di falce, nel quale il defunto ravvisa Georges, suo vecchio compagno di bevute, morto l'anno prima la notte di Capodanno. Da lui David apprende che ogni carrettiere fantasma, prima di essere ammesso nell'aldilà, è condannato a vagare sulla terra fra le sofferenze e le iniquità degli uomini, e ad incontrare – somma pena fra tutte – le conseguenze del male da lui commesso durante il suo cammino terreno. Ora tocca appunto a lui, David, costretto a seguire il suo “istruttore” prima di prenderne il posto.
Invisibili in quanto “anime”, i due capitano nella stanza di una moribonda di tisi: sorella Edit, membro dell'Esercito della Salvezza, rimpianta e lodata da molti per aver consumato la sua giovane esistenza fra i vagabondi e gli alcolizzati. Ma la sua agonia è senza pace; insiste per vedere un'ultima volta un certo Holme, uno dei suoi beneficati, irriducibile impenitente (si tratta proprio di David!): spera forse di convertirlo all'ultimo minuto?
A vegliare la poveretta sono altri due compagni dell'Esercito della Salvezza: il giovane Gustavsson, di lei segretamente innamorato, e sorella Maria, che gli rivela quanti sacrifici e sforzi abbia fatto la moribonda per ricondurre Holme sulla retta via. Costretta dalla sua guida ad ascoltare il colloquio fra i due, l'anima di David apprende come Edit, inizialmente ignara che lui fosse sposato e con prole, lo ami malgrado tutto il male sentito sul suo conto. Se ora ne invoca il nome sul letto di morte, è per metterlo di fronte alle proprie responsabilità verso quella famiglia in miseria, per sciogliere quel cuore di pietra col fuoco del suo amore. Bisogna accontentarla a tutti i costi, rintracciando David Holme… che però giace morto nel giardino accanto alla chiesa!
Non aggiungo altro per non togliere al lettore il piacere di scoprire come va a finire la storia. Dirò solo che anche questa, come le altre, presenta un lieto fine: non certo per un ottimismo semplicistico, ma coerentemente alla sua convinzione che l'amore, e non il male, avrà sempre l'ultima parola. Ma quale amore? Per la Lagerlöf, imbevuta di religiosità profonda, cristiana ma aconfessionale, può essere soltanto quello che redime, che libera, e passando attraverso la croce sa produrre il miracolo.
Omnia vincit amor, tutto vince l'amore, potrebbe definire dunque il tema portante di gran parte di una produzione contrassegnata sempre da un alto senso morale: non a caso questo verso di Virgilio compare ne La saga di Gösta Berling, il capolavoro epico-sentimentale che rivelò la Lagerlöf al grande pubblico e, insieme ai successivi romanzi, ne fece forse la scrittrice svedese internazionalmente più nota e amata: una che Marguerite Yourcenar metterà in cima alla lista delle poche narratrici di genio.
Legata alla tradizione orale e a quella delle saghe della sua terra, il Värmland, con il suo stile personalissimo e naïf che fonde realismo e leggenda, concreto e fantastico, la Lagerlöf ci regala storie di grande fascino, come quelle che un tempo si raccontavano attorno ad un fuoco o a un caminetto; storie nelle quali spesso emerge la ricchezza interiore delle creature più umili, capaci di comunicarci stupore come di fronte alla rivelazione che oltre le esperienze quotidiane del dolore e della grettezza umana esiste un mondo trascendente più puro e più bello.