Segni tra le pagine

Nell’ultimo numero della rivista si parla di precarietà e della vocazione delle nostre città. Gioco d’azzardo e voglia di felicità sono altri temi scottanti. Intanto è arrivata la primavera…
Copertina di Città Nuova

"Buona primavera": ce la auguriamo tuffandoci tra i tulipani rosa che paiono sbordare dalla grande foto alle pagine 60-61 del n. 6 di Città Nuova. Osserva Eddie Vedder, cantautore statunitense: «Non importa quanto freddo sia l’inverno, dopo c’è sempre la primavera». E Chiara Andreola aggiunge che «l’inverno “passa” se qualcun altro ci aiuta a sentire il calore».

Forse di questo calore hanno bisogno i tanti che oggi sono costretti a vivere in situazioni di precarietà lavorativa, per non sentirsi braccati da «libere volpi in un libero pollaio», secondo l’efficace espressione di La Pira, citata da Carlo Cefaloni nel Primo Piano focalizzato appunto sulla precarietà. «Si è creato un fossato tra garantiti e no, e la tentazione è quella di cercare lo scontro dei vecchi contro giovani», precisa il giornalista, che aggiunge: «I diritti si tengono assieme, precari e presunti stabili. Aver accettato questa separazione, finora, ha offuscato l’analisi e la ricerca di soluzioni possibili e giuste».

"Cercando l’essenziale per uscire dalla crisi" è il titolo dell’articolo nel quale Elena Granata dà conto di un fecondo convegno svoltosi ad Assago, nel quale il sociologo Magatti si è domandato a cosa serva essere più liberi se non si è capaci di costruire un mondo migliore. «Oggi abbiamo la possibilità di essere liberi in altri modi – ha chiarito lo studioso – di darci delle mete ed essere disposti a sacrificarci per raggiungerle. Dobbiamo essere disposti a nuove alleanze alla pari  tra famiglie, tra vicinati, tra territori».

«Il postmoderno paradossalmente somiglia al premoderno, all’evo antico», scrive Gennaro Iorio in un editoriale dedicato alle metropoli contemporanee. «Berlino o Giakarta – prosegue – sono vicine nella forma alla Corinto di Paolo di Tarso […]: come all’origine delle prime comunità cristiane è questo il tempo metropolitano paradossalmente fecondo per la riscoperta dell’amore-agape».

È "La profezia della città plurale", come recita il titolo della rubrica curata da Piero Coda. «La città – sostiene il teologo – può e deve  diventare ciò che è per vocazione: luogo realistico dell’esercizio di quell’umanità sempre nuova dell’uomo che nel nostro tempo bussa con forza alla porta. […] Idealismo? Utopia? No. Profezia, appunto. Da pagare a caro prezzo. […] Occorre ridestare lo spirito della città».

Di profezia dunque abbiamo bisogno, e non di inseguire "Sogni milionari": l’Italia è al terzo posto mondiale e al primo in Europa nella spesa procapite nei giochi d’azzardo. 31 milioni di italiani giocano regolarmente. Raffaele Cardarelli a pagina 23 ammonisce: «Che futuro può avere un Paese in recessione – dove il 10 per cento della popolazione detiene il 50 per cento delle risorse, mentre il 15 per cento vive in povertà e un altro 20 per cento è a rischio povertà – i cui responsabili politici spingono i cittadini a "sognare il bagno nello champagne", mentre si chiedono sacrifici su pensioni, diritti lavorativi e molto altro?».

Un futuro diverso, che non si sogna come bagno nello champagne,  è scorto da chi sa vedere gli uomini con i quali cammina la profezia annunciata da Coda. «Alcuni sono invisibili solo perché non li sappiamo, o vogliamo, vedere», scrive Paolo Crepaz nella Penultima fermata. «Madri di famiglia generose e badanti instancabili, autotrasportatori e ferrovieri, insegnanti ed educatori diligenti e responsabili, medici e infermieri, preti di campagna, missionari e monache di clausura, solerti impiegati pubblici innamorati del proprio dovere, artigiani e operai che con scrupolo realizzano manufatti per gente che non conoscono e che non li ringrazierà mai… Fanno cose che resteranno per sempre».
La primavera è arrivata!

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