Segni tra le pagine
Sono persone concrete quelle che emergono dalle pagine del 6° numero di Città Nuova, persone le cui vite arano il terreno della storia o germogliano e fruttificano sui suoi campi.
Il primo sguardo sulla copertina, dedicata ai Giovani di Kiev, si sofferma sul viso della ragazza che tiene tra le mani un grande cartello su cui campeggia la scritta “No alla violenza”, quasi a cercare di capire cosa si cela dietro l'espressione perplessa dei suoi occhi verdi. A pagina 8 l'articolo di Michele Zanzucchi inviato in Ucraina, “La dignità della Majdan”, è introdotto da una grande foto: in primo piano, davanti al giallo-azzurro della bandiera ucraina, mazzi di garofani variopinti posati su un muretto annerito, qualche rosa avvizzita, un tulipano candido ma senza più il suo turgore, un rosario in resina bianca che pare abbracciare il blocco di cemento su cui qualcuno l'ha deposto. Sullo sfondo, lontane e indistinte, le persone della folla di piazza Indipendenza a Kiev, che la lettura dell'articolo consente di mettere progressivamente a fuoco. Una tra queste è Liliana, medico del maggior ospedale della capitale, che adesso opera nella hall dell'Hotel Ucraina. Ecco il suo racconto: «La notte del 18 febbraio ero in ospedale e giungevano notizie inquietanti. Io facevo parte dei giovani della Majdan e quindi sono corsa qui. Abbiamo cominciato a curare i feriti sotto i portici, facendo quel che era possibile. A un certo punto qualcuno ci ha suggerito di chiedere ospitalità all’Hotel Ucraina, ma era sbarrato. Sono stati i giornalisti e i turisti presenti ad aprirci. Ed è cominciato un pazzesco andirivieni di barelle, morti e feriti. Io stessa ho constatato il decesso di 14 persone. Per miracolo sono arrivate delle apparecchiature e abbiamo cominciato anche con la chirurgia. Tanta gente è stata salvata».
Di persone, più che di edifici da ristrutturare, è fatta la scuola italiana, la cui frontiera educativa è attraversata da Aurelio Molè con l'articolo a pagina 18 “Per la scuola tutti in piazza”. Supera ogni confine l'attivismo per il diritto allo studio della studentessa pakistana Malala Yousafzai la quale, dopo una lunga convalescenza seguita a un grave attentato subìto a causa delle sue idee, ha così concluso un suo discorso all’Onu: «Cerchiamo di condurre una gloriosa lotta contro l’analfabetismo, la povertà e il terrorismo. Lasciateci gridare: dobbiamo imbracciare i libri e le penne, sono le armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo. L’istruzione è l’unica soluzione. L’istruzione è la prima cosa».
Gianni Maritati, giornalista del Tg1, si racconta in un'intervista curata dall'amico Paolo Lòriga a pagina 20, “Adesso ci vedo meglio”. «Era il 13 maggio dello scorso anno. Finito il pranzo con la mia famiglia, mi ero messo in auto per venire qui. Stavo guidando tra Ostia e Roma, quando succede qualcosa alla parte posteriore della testa, come avesse ricevuto una botta. Riesco a mettermi nella corsia di emergenza, per non diventare un pericolo per me e per gli altri. Ma ecco che arriva un secondo colpo molto più forte. Era un’ischemia. (…) Ne è derivata una grande lezione di umiltà, perché a quel punto riscopri il silenzio, la preghiera, il bisogno degli altri. (…) Sto apprezzando tutto. È come rinascere. Rivedo tutto con occhi nuovi, puliti, senza pregiudizi e quindi tutto ti sembra meraviglioso, però anche fragile, da proteggere. Non è solo la bellezza che mi colpisce, ma anche la fragilità della bellezza. Ho fatto su di me l’esperienza».
280 famiglie di Montopoli Val d'Arno e Torella dei Lombardi sostengono, grazie alla solidarietà intraprendente di Giovanna e Raffaele Di Lorenzo, l'adozione a distanza continuativa di 50 bambini della favela di Santa Teresina di Recife in Brasile nell'ambito di uno dei progetti di sviluppo della ong “Famiglie Nuove”. Questa storia di persone solidali è riportata da Mariagrazia Baroni nell'articolo a pagina 36, “Non più favela ma comunità”. «È un moltiplicarsi di iniziative; l’impegno profuso è quasi di un lavoro a tempo pieno. Famiglie, scuole, ristoranti, e anche banche e ufficio postale: tutti sono coinvolti nel creare un clima di fraternità». Sono adozioni a distanza, che allargano in modo nuovo la “cultura della famiglia”. Lo scorso gennaio un ragazzo che aveva usufruito dell’adozione a distanza ha voluto incontrare qualcuno dell’associazione. «Voleva conoscerci per essere istruito su come fare adozioni», ha raccontato Maria Josè, la responsabile del progetto, che poi ha osservato: «Proprio lì, in quel luogo che non si chiama più favela, ma comunità».