Segni tra le pagine

Sfogliando il nuovo numero, vi proponiamo una selezione di articoli: in primo piano, l'intervista di Paolo Loriga alla presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, e poi tante testimonianze di persone che si impegnano, quotidianamente, per aiutare gli altri
Foto copertina CIttà Nuova numero 21 del 2013

La copertina del n. 21 di Città Nuova invita a una lettura della rivista al femminile, a cominciare dal primo piano in cui Paolo Lòriga a pagina 8 affronta la questione Donne e Chiesa con un’intervista alla presidente del Movimento dei Focolari Maria Voce: «Secondo me, bisogna che tutta la compagine ecclesiale sia disposta ad accogliere l’autorevolezza di persone di sesso femminile anche laddove si prendono le decisioni più importanti della Chiesa». Per questo Maria Voce, pur non ritenendo fondamentale l’accesso delle donne al sacerdozio, si lancia in una proposta ardita: «Mi sembrerebbe particolarmente utile se nella prima fase [le riunioni che precedono l’elezione del papa] ci fosse la presenza anche di persone che svolgono un ruolo nella Chiesa e possono apportare il contributo della loro esperienza, sicuramente diverso ma non meno importante di quello dei cardinali». Alla domanda di Lòriga: «Che indicazioni può offrire alla Chiesa il fatto che per statuto la presidenza dei Focolari sarà sempre femminile», Maria Voce risponde: «Il fatto che ci sia una donna presidente mi sembra possa promuovere nella Chiesa una visione di Maria che ancora è poco considerata, quella di Madre della Chiesa, cioè colei che contiene tutte le realtà della Chiesa stessa».

Marina D’Antonio, medico nell’ambulatorio delle vaccinazioni di Pistoia, è una donna di rara sensibilità la cui testimonianza è raccolta da Aurora Nicosia a pagina 24 nell’articolo Il coraggio di un nome: «Provare a fare la differenza è significato per me mettere il paziente al centro della cura e la persona al centro del mio cuore, chiedendomi di fronte allo straniero, al portatore d’handicap, al disagiato sociale, se io avevo la possibilità di fare qualcosa in più». Segue il racconto di un’esperienza: «Attraversa la porta, con passo silenzioso, guardandomi dritto negli occhi. È una giovane donna nigeriana. Non si siede. Tira fuori da una stoffa variopinta un libretto di vaccinazioni pediatriche perché vuole sapere cosa deve fare la sua bambina per tornare nel suo Paese di origine. Parlo di tante malattie, non come farei con un’italiana […]. Lei è un’animista, ogni malattia ha una sua dignità, un suo colore, un suo suono […]. Mentre parlo, mi accorgo che ci tengo alla sua fiducia, non tanto per un ennesimo successo come medico vaccinatore, ma come donna, come mamma […]. Sorrido quando la madre mi dice che la bimba si chiama Courage, coraggio. «Ci ho pensato tanto e poi ho scelto per lei il nome giusto – aggiunge –. Courage, coraggio è l’unica cosa che voglio augurarle nella vita». Mentre dò un bacio sulla guancia scivolosa di lacrime di Courage, penso che per lei il nome è così, una protezione verso quello che l’esistenza rischia di toglierle. In Africa la vita inizia con questa scelta, la scelta del nome, un atto d’amore».

Ancora l’Africa, un’altra donna protagonista. È Jane Frances Maseruka, un’operatrice sanitaria che ha lavorato nel reparto di maternità dell’ospedale di Fontem in Camerum, la cui vita è raccontata a pagina 32 da Barbara Pandolfi nell’articolo L’ostetrica e i suoi 220 bambini: «La sua passione sono i bambini: quelli che aiuta a nascere e quelli che cerca di non far morire con la sua tempra e l’immancabile humor che la caratterizza. Entra nella vita e nelle case di molte famiglie […]. Jane Frances segue con entusiasmo il progetto di sostegno a distanza (Sad) di Azione per Famiglie Nuove onlus e, con estrema delicatezza, contatta ad una ad una le famiglie di cui conosce le condizioni di bisogno… Il 7 aprile scorso, Jane Frances Maseruka è morta dopo una breve malattia, lasciando una bella famiglia di cui lei era la madre, l’amica e la sorella: «Una piccola goccia nell’oceano – come disse lei stessa una volta –; ma se non ci fosse stata?».

Marisa Gobbini ha 77 anni e presta servizio come volontaria nel centro di ascolto del quartiere Trieste Salario a Roma. La sua storia di donna solidale, pienamente coinvolta nei problemi delle badanti e delle famiglie con necessità di assistenza, è proposta da Mariagrazia Baroni a pagina 34, Diversamente radicati: «Mi sono sempre più convinta – afferma Marisa – che non era sufficiente riempire quella scheda prestampata che davamo all’ingresso del centro: occorreva entrare, in punta di piedi, sempre di più nella realtà umana vissuta dall’immigrato. Così ho iniziato a fare degli incontri a casa con loro (…). Il risultato? Rapporti nuovi, inattesi eppur quotidiani. Amicizie che si stringono, come quella con Rosa, che prima di ripartire per il Perù passa a salutarmi con in mano un dolce». Marisa aiuta badanti e assistiti a impostare in modo nuovo i reciproci rapporti: «La badante ha uno sguardo proiettato verso l’oltre, il suo Paese, il suo disagio, le sue origini, mentre chi viene assistito ha lo sguardo perso e sta per conto suo». Decide così di andare a cena in casa di queste persone, perché si apra un dialogo. Dopo qualche tempo, prima una, poi in più, la fermano per raccontarle quanto sia migliorato il rapporto.

Donne e sport. Passa anche da qui il Sogno afgano raccontato da Giovanni Bettini a pagina 56: «Shannon Galpin, 38 anni, è la prima donna, statunitense per giunta, a girare l’Afghanistan in bicicletta, pratica proibita secondo le leggi tribali. La sua è una battaglia contro i tabù sociali e culturali per i diritti e le pari opportunità delle donne che sempre più numerose la seguono a ruota. Il progetto della Galpin e della sua Onlus Mountain2Mountain ha nel mirino la partecipazione della Nazionale di ciclismo dell’Afghanistan alle Olimpiadi di Tokyo 2020 con le donne in prima fila a tirare il gruppo. È la nuova diplomazia dello sport: modi diversi per ridare occhi a chi prima li aveva persi».

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