Segni tra le pagine
Il numero 19 di Città Nuova apre sul valore e sulla velocità dell'informazione. Scrive il direttore ne Il Punto a pagina 3: «la nostra società “frammentata” (De Rita), se non “sparpagliata” (Giddens) o “liquida” (Bauman), sembra diventata allergica a tutto ciò che chiede silenzio, riflessione, ponderazione».
Riflessione e ponderazione sollecitate già dalla copertina del periodico con l’iniziativa “Slot Mob” che premia i locali che rifiutano i guadagni dell’azzardo legalizzato. Scrive Carlo Cefaloni nel servizio a pagina 8 Slot Mob, non stiamo giocando: «88 miliardi di euro di raccolta all’anno. Almeno altri 15 miliardi rientrano nel giro illegale gestito dalle mafie. Siamo i primi in Europa e al terzo posto nel mondo, con un numero pro capite di macchine da gioco di ultima generazione (le Vlt) triplo rispetto a quello degli Stati Uniti. Spesa media, contando solo i maggiorenni, di oltre 1.700 euro l’anno. Cifre incredibili, una vera emergenza nazionale».
Altre cifre, altra emergenza: la Siria, sulla quale si sono abbassate le luci dei media nazionali, non però l’attenzione di Città Nuova che dedica alla grave questione umanitaria l’editoriale a pagina 6 di Vincenzo Buonomo, Oltre il war game: «I dati restano tragici: ormai sono oltre 4 milioni e mezzo gli sfollati, costretti a lasciare case e villaggi distrutti per ricevere protezione da uno dei tanti gruppi combattenti. Sono circa due milioni, invece, i siriani rifugiati tra Turchia, Iraq, Libano e Giordania: oltre 5 mila persone ogni giorno approdano a campi profughi insufficienti, con un’assistenza materiale e umana ormai in esaurimento […]. L’interesse sembra fermarsi ai modi di fare la guerra, quasi fosse un gioco, dimenticando che per il diritto internazionale l’obbligo umanitario è imparziale, libero da prepotenze ed egoismi, poiché non è solo strumento di aiuto, ma di riconciliazione».
Sempre dalla Siria giungono regolari testimonianze, sotto forma di diario, pubblicate sul quotidiano web di Città Nuova. Una di queste, In nome del popolo siriano, è riproposta da Maddalena Maltese a pagina 20: «La violenza dilania il Paese eppure la gente continua a resistere: ha fame di vita, vuole difendere la famiglia. Si riappropria di brandelli di normalità appena cessano di cadere le bombe, che magari la notte prima ci hanno fatto fuggire. Si torna all’università, si riaprono i mercati, ma mancano le materie prime ed è arduo reggere una qualsiasi attività o bottega. […]. Tutti ripetono costantemente: “Siamo nelle mani di Dio”, e questa non è un’invocazione di rito. La pace è un dono, ma impegna tutti. I soldati hanno digiunato e i musulmani hanno pregato con noi per rispondere all’appello di papa Francesco […]. Qui la pace deve essere anzitutto guarigione: deve curare le ferite di violenza che ogni siriano porta negli occhi e nella vita».
La pace e i suoi alfieri, ieri e oggi. Il coraggio di lottare per la pace è il titolo che ripropone, a pagina 41, uno scritto di Igino Giordani del 1969: «Nella pace si raccolgono i valori della vita, l’uomo di coscienza deve impegnarsi a impedire lo scempio della guerra, in quanto offende Dio e offende l’uomo. […] Ora che gli interessi dell’umanità si universalizzano, si arriva a capire che la pace è una conquista, e la conquista suppone una lotta: la lotta che si combatte con le armi della carità e della giustizia per demolire le passioni belluine, gli istinti di sopraffazione, le nequizie sociali da cui muove la guerra. Questa lotta esige da ognuno una forza spirituale e per usarla occorre un coraggio ben superiore a quello di chi impugna armi materiali: il coraggio della fede in Dio».
Promuovere la pace quale necessità fondamentale, è la decisa esortazione dell’arcivescovo ortodosso Bartholomeos I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, pubblicata a pagina 44: «Abbiamo l’obbligo morale di resistere alla guerra come necessità politica e di promuovere la pace quale necessità esistenziale. La minaccia al tessuto della vita umana e alla sopravvivenza dell’ambiente naturale fa sì che sia questa la priorità assoluta, al di sopra di ogni altra. Nello scegliere l’alternativa consistente nella trasformazione per mezzo della pace, allora, dovremmo ricordare che essa inizia sempre fondamentalmente nel cuore; richiede inoltre molto tempo e travaglio, ma costituisce non di meno la nostra unica speranza di sopravvivenza in quanto singoli, nazioni e specie».
In questa direzione si muove il progetto “Try Angles”, promosso dall’Istituto teologico svedese di Gerusalemme, che dal 2007 offre uno spazio di dialogo tra venti ragazzi ebrei, cristiani e musulmani. Lara Nassar è una giovane araba di religione cristiana, animatrice del gruppo, intervistata da Mariagrazia Baroni a pagina 36, Nella porta accanto alla mia: «A Gerusalemme viviamo separati. Gli arabi non hanno la possibilità di incontrarsi con gli israeliani e viceversa […]. Durante i nostri incontri sedevamo insieme in una piccola stanza dove esprimevamo pensieri, culture e tradizioni diverse, mentre nel mondo fuori il conflitto continuava con i suoi posti di blocco. In altre parole, era difficile ignorare la realtà in cui vivevamo. Così è stata una sfida per noi tutti partecipanti: rompere il muro dell’indifferenza e costruire insieme un mondo di dialogo».