Segni tra le pagine

Nell’ultimo numero tra i temi trattati: il desiderio di partecipazione politica dei giovani italiani e le strategie per fronteggiare la crisi delle aziende di Economia di Comunione
Copertina Città Nuova n. 3

È lo sguardo positivo sulla realtà che qualifica il terzo numero di Città Nuova, a cominciare dalle parole del suo direttore a pagina 3: «La crisi ci sta avvicinando. Tra cittadini intendo, ma anche tra cittadini e istituzioni. E tra società civile e istituzioni […]. Ma c’è una condizione per ritrovare questo “livello Italia”: dare spazio alle risorse migliori, i giovani, cioè chi crede al bene comune».

Nei giovani e nella ricerca del bene comune credono i tutor delle numerose scuole di partecipazione attivate in Italia dal Movimento politico per l’unità. Così ne spiega il successo Ermanna Bellandi, intervistata da Paolo Lòriga nel “Primo Piano”, alle pagine 4-7: «I giovani esigono una nuova politica […]. Sono interessati all’avventura di portare la fraternità in politica».

Anche il sociologo Mauro Magatti, nell’articolo a pag. 8 “Risposte van cercando”, coglie nelle nuove generazioni una domanda di partecipazione: «Cominciano a percepire che la vita non è semplicemente un videogame o qualcosa che va consumato. Siamo in una fase in cui la realtà torna a galla e pone domande».

Domande di utopie possibili, o di luoghi “altri” come li chiama Fabio Ciardi nell’editoriale a pagina 12: «Penso ai villaggi di pace tra cristiani e musulmani a Mindanao nelle Filippine, ai nuovi monasteri come Bose, alle cittadelle del Movimento dei focolari […] e le tante imprese di Economia di Comunione».

Alle strategie e ai valori delle aziende di Economia di Comunione in tempo di crisi è dedicato l’approfondimento di Federico Berti a pagina 20, dal titolo: “Come affrontare la mareggiata?”. Risponde Ugo Pettenuzzo, della Ridix Spa: «Ci siamo tagliati gli stipendi di noi soci e dirigenti per mantenere i 54 posti di lavoro […]. Insieme ai sindacati abbiamo puntato ai contratti di solidarietà piuttosto che alla cassa integrazione […]. Abbiamo dilazionato i pagamenti di chi non ce la faceva».

“Insieme per lavorare” (in lingua quechua “Tinku Kamayo”) è il nome di un atelier di filatrici di lana che sorge a ridosso della cordigliera delle Ande in Argentina. La sua storia, iniziata durante la grave crisi del 2001, è raccontata da Alberto Barlocci alle pagine 38-40: «Quanto guadagnano nel commerciare i panni di lana che lavorano serve per integrare il bilancio della famiglia. Ma non è solo questione di ricevere: Tinku è una scuola del dare, perché ricevono e danno, tornano a ricevere e danno di nuovo». Un’esperienza quotidiana di Provvidenza.

Provvidenza che sta sullo sfondo dei romanzi di Dickens, il creatore di David Copperfield, il cui bicentenario della nascita è ricordato da Oreste Paliotti a pagina 72: «Descrisse splendori e miserie della Londra vittoriana […], stigmatizzò le condizioni sociali repressive del suo tempo, ma pur nelle situazioni più tragiche non perse mai il suo ottimismo di fondo, la sua speranza nelle possibilità dell’uomo di migliorarsi».

Atteggiamenti che animano, al di là dei tanti luoghi comuni sul disimpegno e la rassegnazione della categoria, anche i “Prof di scuola” nel forum tra docenti curato da Giulio Meazzini alle pagine 68-71: «Bisogna stabilire un rapporto di fiducia […]. Per comunicare un argomento devo prima stabilire una relazione […]. Il docente deve presentarsi in maniera autentica […]. La cosa importante è che loro sentano se gli vuoi bene, se ti interessi di loro […]. Se hai scelto di fare questo lavoro, devi avere fiducia che ognuno possa cambiare».

Un cambiamento che riguarda la vita di tutti, giovani e adulti, a partire dal proprio limite. È quanto risulta da un’efficace metafora, tratta dal blocco di marmo sul quale diversi artisti avevano lavorato prima che Michelangelo vi scolpisse il suo David, presentata dal lettore Donato Salfi a pagina 81: «Ognuno di noi ha un buco nella propria esistenza, che può essere un dolore, un’aspettativa disattesa, una minorazione fisica […]. Ognuno deve fare i conti con quel buco, la cui presenza porta spesso a essere abbandonati, come il blocco di marmo di Michelangelo. Dobbiamo diventare artisti della nostra vita, facendo dell’esistenza un’opera d’arte costruita intorno a quel vuoto».

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