Segni tra le pagine

Un numero ricco di spunti e riflessioni, tra il primo piano dedicato alle prossime elezioni politiche italiane e un'istantanea dello scenario mediorientale, con gli sviluppi della "primavera araba" nei diversi Paesi coinvolti. Una lettura di Luigino Bruni del conflitto economia-finanza e un sussulto di solidarietà civile dei fabbri di Pamplona
Città Nuova rivista n. 2/2013

Due avvenimenti su cui riflettere. Li propone il direttore, Michele Zanzucchi, su Il Punto che apre il secondo numero del 2013 di Città Nuova: «Il primo accade in Slovacchia, e riguarda l’euro […]. La Slovacchia, infatti, l’ha spuntata, e nelle prossime emissioni su una faccia della moneta sarà coniata l’effigie dei santi Cirillo e Metodio, patroni d’Europa per volere di Giovanni Paolo II […].Bruxelles voleva impedire alla Slovacchia di rappresentare i due santi, in nome di una laicità spinta che pare voler relegare nell’angoletto del privato tutto quanto ha a che fare con la religione. Il secondo episodio accade in Francia: circa mezzo milione di persone ha voluto manifestare […] per il diritto del bambino di avere un padre e una madre. La cristianità europea si risveglia dopo che nella Costituzione europea si è evitato di fare riferimento alle “radici cristiane” del Continente?».

E in Italia? A poche settimane dal voto, scrive Paolo Lòriga nel primo piano a pagina 8, intitolato Un voto ancora imbavagliato, «presenti nelle diverse liste, i cattolici non sono riusciti ad offrire ai partiti una piattaforma comune di proposte per il Paese». Eppure, il «mondo cattolico e, più in generale, società civile […] possono svolgere un ruolo di stimolo e di arbitro per ridare alla politica quella misura alta e quel respiro lungimirante che la presente crisi costringe a conquistare. E pazienza – solo per il momento – se andiamo al voto ancora con il Porcellum». Cosa è mai possibile fare, dunque, una volta constatata la «complicità tra i segretari, intenzionati, in realtà, a mantenere in vigore una legge che regala loro un potere enorme, quello di nominare un intero Parlamento della Repubblica»? Risponde Iole Lucciconi a pag.10: «Potremo valutare la loro concretezza e verità di linguaggio e di proposta; la loro lealtà e il loro rispetto nei confronti del partito o movimento di appartenenza e soprattutto nei confronti dei loro competitori; la loro capacità di vedere i problemi e di volerli affrontare, tenendo in debito conto i soggetti più deboli, che crescono giorno dopo giorno in numero e in debolezza».

Non sarà che anche noi, in Italia, siamo chiamati a Imparare la democrazia, come stanno faticosamente facendo le popolazioni del Medio Oriente? Scrive Pasquale Ferrara a pag.16: «Che succede davvero in Egitto, in Tunisia, in Libia? Semplice: questi Paesi stanno faticosamente e in modo contraddittorio apprendendo a divenire delle democrazie. In Egitto e in Tunisia i movimenti islamici sono giunti al potere attraverso elezioni, e non sono pertanto degli usurpatori del potere. Passata la ventata di novità e la popolarità del momento, i governanti dei Paesi arabi “liberati” da regimi autoritari stanno sperimentando la stessa tentazione per le scorciatoie autoritarie. […] Tuttavia la transizione libica fa eccezione rispetto al panorama islamizzante dell’area: lo scorso luglio i libici, nelle loro prime elezioni “post-rivoluzionarie”, hanno sancito la sconfitta politica dei movimenti islamisti radicali […]. Nonostante queste incongruenze, dobbiamo renderci conto che le rivolte hanno cambiato per sempre il volto della regione; ma, prima di raggiungere un’Itaca democratica, i nuovi Ulisse mediterranei hanno ancora da viaggiare, tra molte insidie».

Insidie tra le quali stanno viaggiando anche le democrazie occidentali. Osserva Luigino Bruni nell’editoriale dedicato al Conflitto tra lavoro e rendite, che in Italia la tassazione si aggira «attorno al 20 per cento per le rendite finanziarie, che è molto meno della tassazione del reddito d’impresa (ben oltre il 30 per cento), per non parlare del lavoro (oltre il 40 per cento). Si tassano soprattutto i lavoratori (cioè le famiglie e il ceto medio-basso), poi gli imprenditori e infine i percettori di rendite […]. Il vero conflitto sociale oggi non si trova più tra lavoro e capitale, tra operai e padroni, come siamo stati abituati a pensare per oltre un secolo. Non è più la fabbrica il luogo dove guardare per capire la dinamica sociale e i veri potenti. Il vero conflitto è tra le rendite e l’intero mondo del lavoro, lavoratori e imprenditori assieme, anche perché la finanza e le banche hanno in mano le stesse imprese […]. L’intero mondo del lavoro che sta soffrendo, schiacciato dalle troppe rendite di pochi».

Le conseguenze di questo assurdo primato della finanza si sentono con particolare gravità in Spagna. «A Pamplona nel 2012 sono stati allontanati dalla propria abitazione più di 700 nuclei familiari o aziende (più di 350 mila famiglie in tutta la Spagna) – annota Elena Granata a pagina 82 –. […] Negli anni d’oro della crescita edilizia le famiglie sono state indotte a indebitarsi con le banche, poi sono divenute facile preda su cui scaricare i costi sociali del collasso del settore. Ed ora, sulla base di una legislazione nazionale particolarmente favorevole alle banche, non solo si vedono pignorare la casa, acquistata a basso prezzo dalle stesse banche o messa all’asta, ma pur espropriate devono pagare la differenza del valore iniziale della casa, con gli interessi. Uno stato di schiavitù a vita da cui è impossibile affrancarsi». Qui si inserisce lo Sciopero dei fabbri di Pamplona: «Chiamati a cambiare le serrature in seguito alla pioggia di provvedimenti giudiziari, hanno rinunciato al lavoro promettendo di non cambiare più le serrature su richiesta delle banche. «Prima di essere professionisti siamo delle persone – ha affermato il presidente dell’unione dei fabbri –, assistiamo a drammi enormi e non possiamo più partecipare inermi a questi eventi. Ci rimettiamo economicamente ma abbiamo una dignità».

Gesti concreti che raccontano come «Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli»: ecco come nel 1985 Chiara Lubich spiegava questa Parola di vita, riproposta a pagina 42: «Ad un mondo come il nostro, nel quale viene teorizzata la lotta, la legge del più forte, del più astuto, del più spregiudicato […], la risposta da dare è l’amore del prossimo. È questa la medicina che lo può risanare. Quando viviamo il comandamento dell’amore, infatti, non solo la nostra vita ne viene tonificata, ma tutto attorno a noi ne risente; è come un’ondata di calore divino, che si irradia e si propaga, penetrando i rapporti tra persona e persona, tra gruppo e gruppo e trasformando a poco a poco la società».

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