Segnali di speranza
Una città destinata quasi a scomparire o nella migliore delle ipotesi a sopravvivere nel caos, una comunità sull’orlo del baratro, rassegnata all’illegalità e sopraffatta dalla sfiducia in un qualsiasi futuro… Così qualche tempo fa un ben noto settimanale italiano descriveva Napoli che, secondo l’autore, sarebbe completamente in balìa della camorra. Nessuno nega – e come potrebbe – che la città partenopea sia condizionata profondamente dalla presenza di questa organizzazione malavitosa capace di regolarne la vita quotidiana a tutti i livelli, però non si può ignorare al contempo la tenacia di tanti cittadini e di tanta parte delle istituzioni che, nonostante tutto, continuano a scommettere sulla legalità. Qualche dato del 2005 fornito dal Ministero degli Interni può fornire le cifre di quest’impegno: gli omicidi sono diminuiti del 36 per cento, gli scippi dell’1,6 per cento, i borseggi del 5,4 per cento, le estorsioni del 5,9 per cento, le rapine del 6,4 per cento. Diciotto le organizzazioni sgominate nei primi sei mesi del 2005, a fronte delle otto di tutto il 2004; due le grandi fazioni decapitate con gli arresti eccellenti di Paolo Di Lauro, il famoso Ciruzzo ‘o milionario latitante da tanti anni e del figlio Cosimo, di Raffaele Amato, Vincenzo Mazzarella e Raffaele Ligato, nomi che a qualcuno dei lettori potranno non dire nulla, ma a tanti napoletani fanno tremare le vene solo a sentirli pronunciare. Ciò premesso non è detto che siamo di fronte ad un cambiamento definitivo. Lungi da noi l’idea che con questi arresti la camorra sia stata sconfitta – afferma don Luigi Merola, parroco di Forcella -. Basta passeggiare per i vicoli di Napoli per accorgersi che la logica della mala è che una volta arrestato un capo se ne trova un altro. Il mio auspicio è che si continui con il contrasto e la lotta dura alla camorra. Questi signori devono mettersi bene in testa che lo stato è più forte e che di quel pane non ci può e non ci si deve sfamare. Forcella, dicevamo. Facciamo un salto indietro, al 27 marzo 2004.Nel rione di Napoli, noto ai più per la massiccia presenza della criminalità organizzata, si consuma l’ennesima tragedia: Annalisa Durante, 14 anni, rimane vittima casuale di uno scontro a fuoco tra camorristi. Una morte assurda che, purtroppo, non è un caso unico. Prima di lei anche Gioacchino e Valentina entrambi di due anni si erano ritrovati in mezzo ad una sparatoria, come Silvia di 39 anni, Gigi e Paolo, studenti scambiati per malavitosi. Non è giusto: si può morire così?, aveva scritto Annalisa qualche mese prima di essere uccisa, riferendosi all’omicidio di Claudio Tagliatela, assassinato per un telefonino. Non è giusto, però succede.Ma la morte di questa bella ragazza, piena di vita, forse più che altre volte, scuote le coscienze, diventa motore di riscatto. Un primo segnale che qualcosa di diverso si è messo in movimento è dato dai genitori stessi della ragazza che decidono di donare i suoi organi e di costituirsi parte civile nel processo. Nel frattempo si sono vissute fasi alterne con testimonianze e ritrattazioni ma, proprio dagli inizi del mese scorso, tutti i protagonisti di quella vicenda, mandanti ed esecutori, hanno un volto ed un nome e sono finiti in carcere. Il suo sacrificio – commenta don Luigi Merola – è servito a ridare vita a questo posto, ma il prezzo pagato è stato troppo alto. E l’impegno di don Luigi, che in questi anni è diventato uno dei principali protagonisti della lotta contro l’illegalità, mettendo a repentaglio la stessa vita (tant’è che gli è stata assegnata la scorta), viene sempre più riconosciuto a livello nazionale. Quest’anno è stato insi- gnito del premio Paladino per l’infanzia. Il riconoscimento gli è stato assegnato dalla Commissione bicamerale per l’infanzia per il suo instancabile impegno svolto in difesa dei diritti dei bambini e dei ragazzi, in un contesto così difficile come sottolinea il senatore Montagnino nel consegnargli il premio, che evidenzia come per la sua grande capacità di comunicazione e per la sua autenticità don Luigi è ormai un simbolo alla lotta alla camorra che va ben al di là del quartiere di Forcella. Don Merola è un pastore di Cristo – sostiene l’on. Maria Burani Procaccini, presidente della Commissione – ma anche un eroe borghese, un rappresentante di quella Napoli che è sinonimo di cultura e di storia e che non vuole rassegnarsi al degrado. Nel nome di Annalisa è nata anche un’associazione. Si chiama appunto Annalisa Durante e il suo scopo è quello di promuovere progetti di educazione alla legalità. È un po’ il risultato di una fruttuosa collaborazione promossa lo scorso anno da Percorsi di fraternità (vedi Città nuova 4/2005). Tra le attività previste in questo periodo un triangolare di calcio, già svolto, fra parlamentari, attori e industriali; l’istituzione di un premio annuale per componimenti di prosa, musica o poesia nelle scuole medie; la diffusione nelle scuole di un cd-rom interattivo per bambini e adolescenti sui temi della legalità. Ne parliamo con Maurizio Marino, attuale presidente dell’associazione. Siamo un organismo costituito da poco con l’obiettivo di raggiungere una vita normale, senza le paure che ci attanagliano quotidianamente. Col nostro pro- getto cerchiamo di favorire il discernimento tra atti legali e atti illegali, senza dare nulla per scontato. Il cd-rom sulla legalità, ad esempio, è fatto di giochi interattivi, una videoclip con dei comportamenti sbagliati da individuare, una serie di interviste con personaggi noti ai ragazzi che dicono cosa pensano della città, le speranze che abbiamo di migliorare… Visto nelle scuole, ma anche nelle famiglie potrà stimolare un dibattito, creare momenti di confronto. L’abbiamo pensato come un supporto agevole. I ragazzi devono anche divertirsi, studiando queste cose, non appesantirsi, ma partecipare con coinvolgimento ed attenzione . Un altro progetto riguarda la creazione di un teatro presso la chiesa di San Giorgio ai Mannesi e una biblioteca-ludoteca, come luoghi di aggregazione. Le prospettive? Ottime – risponde il presidente -, le speranze anche. L’associazione Annalisa Durante è un insieme di persone fisiche e di associazioni e questo dà più forza a quanto vogliamo dire. Non pensiamo assolutamente di essere né originali, né rivoluzionari, vorremmo solo contribuire a diffondere la cultura della legalità. Ci interessa creare un tessuto dove la gente si possa incontrare – aggiunge Fernanda Tuccillo, preside della scuola Adelaide Ristori e vicepresidente dell’associazione -, far sì che la morte di Annalisa rimanga non come un’operazione mediatica ma come un monito che questo può succedere sempre e comunque. Non mi nasconde le difficoltà quotidiane di quest’impegno che a prima vista potrebbe assumere i connotati dell’utopia, ma che nella pratica giornaliera vive di piccoli passi, registra graduali successi. Napoli è una città dove non puoi esentarti dal metterti in gioco. Sto in questa scuola da quattro anni e ho sempre fatto delle belle lotte, da quelle per avere i dissuasori per le macchine che altrimenti parcheggiavano fin davanti al portone, a quella per ottenere un aspetto più dignitoso all’ingresso dove prima i bambini dovevano fare lo slalom tra macchine, drogati e siringhe. Per me la scuola è formazione, molta formazione perché se non si affranca dall’ignoranza il bambino di Forcella non ce la farà mai; il bambino deve studiare, deve avere mille occasioni. Penso anche che la scuola non può essere autoreferenziale, deve avere un occhio sul mondo, accogliere, entrare in relazione. Cerchiamo di tenere il nostro istituto aperto il più possibile, in genere fino alle otto di sera, grazie a tanti insegnanti e personale motivato, persone che si riconoscono in un progetto. Questo ha aumentato sia la partecipazione dei genitori che il coinvolgimento dei ragazzi. Un ultimo flash di speranza. Adesso ci trasferiamo in periferia. A Scampia, spesso teatro di faide e spaccio di droga, la voglia di cambiamento assume l’aspetto di un edificio imponente: una nuova chiesa, sede della parrocchia Santa Maria Maddalena, i cui locali per 25 anni erano stati quelli di un capannone dove d’estate non si respirava e d’inverno si gelava. Ideata da tre architetti del posto, è il fiore all’occhiello di questo enorme quartiere-città. Una chiesa moderna, a forma di ventaglio, che dall’interno fa scorgere tramite le sue vetrate i palazzi d’intorno, quasi in una continuità di rapporto fra la vita dentro e quella fuori. Ampi locali sono destinati alle attività che già si svolgono e che, si spera, si moltiplicheranno. A neanche 500 metri di distanza uno sfondo ci ricorda la ferita sempre aperta di questa gente: il carcere di Secondigliano, imponente anch’esso e ben visibile. Ma adesso c’è una casa dove essere accolti e il parroco, don Paolo, è visibilmente contento quando racconta della gente che alle messe della domenica riempie tutti i banchi nuovi di zecca. Anche da qui passa la legalità.