Segnali di dialogo

In occasione della ricorrenza del genocidio armeno, il primo ministro turco Erdogan, per la prima volta pubblica un messaggio rivolto ai nipoti di coloro che morirono tragicamente sotto l’Impero Ottomano
Erdogan

Negli ultimi mesi il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan è stato spesso protagonista delle prime pagine dei giornali e non solo in Turchia. Il suo pugno di ferro contro i dimostranti di Gezi Park, la sua recente vittoria nelle elezioni amministrative, il suo stile di governo, politicamente spregiudicato, in un Paese come la Turchia abituata ad un laicismo di Stato serio e compassato, spesso scandito da interventi di militari a salvaguardia proprio della tradizione kemalista, lo hanno posto al centro dell’esame di osservatori e politologi. Senza dubbio, sia per chi lo appoggia sia per gli avversari, il primo ministro del Paese ponte fra Asia ed Europa non può essere ignorato anche nel quadro della politica internazionale.

Mercoledì scorso Erdoğan è nuovamente salito alla ribalta, in Turchia, prima di tutto, ma anche nel mondo, toccando uno dei punti più delicati della storia dell’ultimo secolo: la questione del genocidio armeno. Il 24 aprile, infatti, è la ricorrenza del novantanovesimo anniversario della strage o, per lo meno, in tale data viene commemorata dagli armeni. Erdoğan ha pubblicato un messaggio nel quale ha offerto le condoglianze ai nipoti di coloro che morirono tragicamente sotto l’Impero Ottomano.

La dichiarazione del primo ministro è stata contemporaneamente pubblicata in nove lingue: turco, tedesco, inglese, spagnolo, russo, arabo armeno occidentale ed armeno orientale. Si tratta di un particolare molto significativo se considerato dal punto di vista internazionale. «Desideriamo che gli armeni che hanno perso le loro vite nel contesto dei primi anni del XX secolo possano riposare in pace e rivolgiamo le nostre condoglianze ai loro nipoti», ha affermato testualmente nella sua dichiarazione il premier turco. Tuttavia, Erdoğan ha allargato i suoi sentimenti verso «tutti i cittadini ottomani che hanno perso la vita in condizioni simili nello stesso periodo».

Il premier dell’AKP non si è rivolto, quindi, solamente agli armeni e, soprattutto, non ha mai fatto uso della parola "genocidio", un termine mai riconosciuto dal governo di Ankara, per il quale gli eventi del 1915 hanno visto fra le loro vittime anche turchi, in occasione delle rivolte contro l’Impero ottomano agli inizi della Prima Guerra Mondiale. Nel testo esiste, comunque, un riconoscimento che «la data del 24 aprile ha un significato particolare per i nostri cittadini armeni come per tutti gli armeni nelle varie parti del mondo. Questo offre una preziosa possibilità di un libero scambio di opinioni su questa questione storica». Il primo ministro turco ha riconosciuto che «è fuor di dubbio che gli ultimi anni dell’Impero Ottomano hanno costituito un periodo difficile, pieno di sofferenze per turchi, curdi, arabi ed armeni e milioni di altri cittadini ottomani, al di là delle rispettive origini etniche e delle diverse religioni di appartenenza».

Il testo prevede anche la possibilità che si possa iniziare una ricerca accademica sulla questione da parte di storici, sia turchi che armeni, insieme a personalità internazionali, al fine di far luce su quel tragico periodo storico. Si vorrebbe così arrivare ad una comprensione più accurata possibile di quanto in realtà avvenne. Per questo, ha affermato il primo ministro, la Turchia ha aperto i suoi archivi storici.

L’affermazione di Erdoğan è stata, quindi, significativa, in un clima di rinnovato interesse per la dolorosa questione, come aveva già dimostrato un convegno tenutosi a Istanbul, presso l'università del Bosforo, nel novembre scorso. Si era trattato di una prima occasione in cui si era cercato di far luce su una vicenda che in Turchia è stata avvolta nel sospetto e solo sussurrata. Alla conferenza, oltre a studiosi, avevano preso parte anche testimoni indiretti – i nipoti degli scampati del 1915 –. Si tratta di armeni “islamizzati”, grazie ad una conversione spontanea o forzata, che da sempre hanno taciuto sulla propria identità o che l'hanno scoperta solo in tempi molto recenti.

In un tale contesto, tutt’altro che semplice da dipanare, Erdoğan ha affermato che «in Turchia, esprimere opinioni diverse e pensare liberamente agli eventi del 1915 è requisito di una prospettiva pluralistica e di una cultura democratica e moderna». E anche se «alcuni possono percepire questo clima di libertà come un'opportunità per esprimere affermazioni e accuse offensive e persino provocatorie», la Turchia riafferma apertura e sostegno a un esame storico degli avvenimenti di quel tempo. Gli «episodi»della Prima guerra mondiale sono «nostro dolore condiviso». «Giudicare quel doloroso periodo di storia nella prospettiva di un giusto ricordo è responsabilità umana e di studiosi».

Tuttavia, a fronte di questa apertura, il premier turco ha anche rivolto un monito a coloro a cui è rivolto il messaggio e, eventualmente, ad altri interessati a far emergere la verità. «Nel mondo di oggi, far derivare inimicizia dalla storia e creare nuovi antagonismi non è accettabile né utile per costruire un futuro comune». «Le popolazioni dell'Anatolia, che hanno  vissuto insieme per secoli, senza distinzioni per le loro diverse origini etniche e religiose, hanno stabilito valori comuni in ogni campo dall'arte alla diplomazia, dall'amministrazione statale al commercio. Oggi continuano ad avere la stessa capacità di costruire un nuovo futuro».

Le reazioni sono state positive, almeno per ora. Il quotidiano turco precedentemente citato ha riportato anche la dichiarazione di un noto attivista per i diritti umani, l’avvocato Orhan Kemal Cengiz, che, riferendosi alla nota del premier, si è così espresso: «È una dichiarazione importante. Accogliamo positivamente questo messaggio. Porre fine a cento anni di negazionismo è fonte di speranza per tutti […] È l’inizio di un processo di guarigione».

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons