Seconda stella a destra
Per mare o per cielo, fisico o interiore. La dimensione del viaggio attraverso l’arte.
Bagagli, fagotti, carretti, imbarcazioni, eliche… è il corredo variopinto con cui gli artisti in mostra a Genova interpretano il tema del viaggio.
Un viaggio fisico: è quello proposto da chi in prima persona ha vissuto l’esperienza dell’incontro con il nuovo e con l’ignoto. Nella sua “strada per l’esilio”, il camerunense Toguo imbarca una nave zeppa di stoffe africane sull’inospitale mare di cocci di vetro.
Un viaggio mentale: Pistoletto ci porta all’interno del suo labirinto di cartone. Ecco il pozzo della salvezza e al suo interno uno specchio che, insieme alla nostre facce, pare riflettere un’importante verità: in questo continuo vagare dobbiamo cercare e trovare soprattutto noi stessi.
Un viaggio interiore: è quello della Abramovich che vediamo orizzontale e inerte sul bagnasciuga di Stromboli. La prima suggestione è quella di un naufrago, ma il dolce sciabordio delle onde riporta ad un lavacro di acqua salata. Come i ciottoli su cui il corpo è disteso, l’anima è levigata, purificata.
Parallelamente all’idealità che è loro propria, gli artisti svelano anche gli inganni che possono sfuggire agli sguardi comuni. Così troviamo in mostra anche metafore di viaggi fasulli che, come specchi per allodole, troppo spesso ci seducono e ci ingannano.
L’isola ostentatamente artificiale di Hapaska addita la falsità dell’immaginario esotico proprio di tante agenzie di viaggio. La palme in materiale sintetico e il tramonto di luci artificiali restituiscono un’immagine vacanziera finta quanto stereotipata.
Posticcia e piena di fantasmi è invece l’isola di Feldmann. Giocattoli e carabattole ruotano su una sorta di carillon muto, mentre sullo sfondo prende forma un’immagine tutt’altro che innocua. Le ombre degli oggetti si accavallano gigantesche e lente: un pupazzo, una pistola, un fiore, uno scheletro… La seducente e tremenda sfilata di queste ombre denuncia il dramma della luccicante superficialità che troppo spesso ci scivola davanti agli occhi.
Desolante è l’isola di Alice Aycock che, mossa dai quattro venti (in realtà quattro ventilatori), non offre altro che un cumulo di sabbia la cui cresta si alza in un inquietante mulinello.
Ma il viaggio dell’arte è anche il mettersi in marcia per un obiettivo, fisico o ideale. La sudcoreana Kimsooja propone la sua consueta donna di spalle dai capelli neri: il suo carro di fagotti colorati sfila per le vie di Parigi, prima fra l’indifferenza dei passanti, poi fra la curiosità e la partecipazione dei brulicanti quartieri multietnici; infine l’approdo alla cattedrale dalle caratteristiche gargouille, Nôtre Dame, accogliente come l’ultima spiaggia dei viaggiatori, dei naufraghi, dei sognatori.
Ogni opera d’arte è un viaggio: sotto la pelle delle cose, a mostrarne la precarietà, l’eternità, l’origine; sopra i fatti e le persone, a leggerne il filo d’oro, la destinazione; lungo i nostri percorsi, a decifrarne le rotte per poterle cambiare, sognare, realizzare.
Isole mai trovate. Genova, Palazzo Ducale, fino al 13/6 (catalogo Silvana Editoriale).