Se un miliardo non basta. Lavoro in attesa di terapia
L'attuale situazione in Italia «non può continuare per molto tempo senza sfociare in esplosioni sociali violente». L’avvertimento, ripetuto, proviene dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi e non è un caso. Per sedare la rivolta del personale sanitario licenziato dalla nuova proprietà Rotelli del San Raffaele di Milano, infatti, è intervenuta la polizia in assetto antisommossa, mentre a Roma i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil hanno cominciato a bussare forte alle porte del governo ancora in vita per gestire l’emergenza della dotazione della cassa integrazione in deroga.
Si tratta dei soldi che lo Stato versa, tramite le Regioni, per sostenere il reddito dei lavoratori rimasti senza stipendio, ma che non hanno, o non hanno più, diritto alla cassa integrazione ordinaria e straordinaria. Nel 2011 sono stati erogati 1 miliardo e 700 milioni di euro, mentre il tetto dei 2 miliardi è stato sforato nel 2012. La dotazione di 800 milioni prevista inizialmente per il 2013 è largamente insufficiente. Lo ha denunciato la “Conferenza delle Regioni” lo scorso febbraio e lo ha ribadito la commissione dei saggi nominati da Napolitano per indicare una linea al governo che verrà, ma del finanziamento della cassa in deroga non c’è traccia nel Def (Documento economico finanziario) presentato da Monti il 10 aprile. Anche il miliardo di euro che, secondo le stime dei saggi quirinalizi, dovrebbe essere rifinanziato sarebbe insufficiente, come ha anticipato il ministro Fornero (nella foto), autore di una riforma del sistema degli ammortizzatori sociali che deve entrare ancora in funzione. Per ora resta in vigore il consolidato meccanismo che permette ai lavoratori di percepire un reddito, anche se ridotto, con la copertura dei contributi pensionistici, senza cessare il rapporto di lavoro con l’azienda, che altrimenti dovrebbe procedere al licenziamento.
Secondo Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, il fabbisogno complessivo per la cassa in deroga raggiungerebbe i 2 miliardi e settecento milioni di euro. La decisione, nonostante la solidarietà dei presidenti di Camera e Senato, è stata rinviata dal ministro del Lavoro alla competenza del Governo, che dovrà sciogliere la riserva per fine mese. Una richiesta di pronto intervento che è simile ad una raccolta di sangue per evitare la morte del paziente. Non certo la terapia che segue una diagnosi dei mali che stanno minando la salute del sistema economico italiano.
Senza pagare integralmente i debiti contratti dallo Stato nei confronti delle imprese è difficile pensare ad una ripresa delle attività produttive. Se le banche che ricevono i soldi dalla Bce ad interesse negativo (cioè ad un tasso inferiore a quello dell’inflazione) continuano a rifiutare il credito alle aziende sane, sarà difficile invertire il trend di 41 imprese che chiudono ogni giorno, come ha drammaticamente annunciato Vincenzo Boccia, presidente delle piccole imprese di Confindustria. I soldi ci sono, ma non girano a sostegno del sistema produttivo come dimostra il sequestro di un miliardo e 800 milioni di euro ai danni della banca d’investimenti giapponese Nomura da parte della Guardia di Finanza che sta indagando «in relazione al reato di usura aggravata e di truffa aggravata commessa ai danni di Banca Monte Paschi di Siena».
Sono solo dettagli che disegnano un quadro generale del sistema attuale davanti al quale un governo, non a tempo, dovrebbe essere capace di compiere precise scelte di politica economica illustrando analisi e soluzioni sui contenuti reali. Come ha detto Stefano Zamagni in un recente intervista a Città Nuova «se si dice che va tutto male e non ci si muove si finisce per credere che tutto sia destinato a perdersi. Bisogna riconoscere, perciò, il senso della politica, che è quello di accorciare i tempi e non di allungarli».