Se ti abbraccio non aver paura
Una mattina, seduto al bar, lo scrittore Fulvio Ervas vede un uomo venirgli incontro. Un uomo che certo non si perde nei preamboli. «Ehi, tu, scrittore, ascoltami perché la storia che voglio raccontarti ha la forza della vita vera e la bellezza di un sogno». Quel racconto è divenuto la farina con cui lo scrittore ha impastato un libro accessibile a tutti, ben calibrato, che emoziona e fa riflettere.
Vita vera e sogno si intrecciano nella storia di Franco e del figlio Andrea, alle prese con una forma di autismo che lo isola dal mondo, ma non gli impedisce di intuire qualcosa di profondo sulle persone, di cercarle attraverso l’abbraccio e l’improvviso contatto fisico anche con lo sconosciuto. Per anni Franco ha cercato una soluzione alla malattia, una via d’uscita al proprio dolore. Poi un giorno ha deciso di rischiare l’ignoto e, a dispetto di ogni precauzione, si è messo in viaggio: solo, con il figlio, la moto, senza bussola, né destinazione. Destinazione Americhe.
Il viaggio è rivelatore, sovverte gli equilibri, genera nuove energie, in qualche modo riduce le distanze tra padre e figlio. Il viaggio geografico diviene viaggio interiore di un padre, ma mette anche a nudo l’elaborazione culturale e collettiva della malattia e della diversità. L’accoglienza ad Andrea, gentile e distaccata nel Nord America lascia il posto ad un abbraccio caldo in America Latina, dove il ragazzo suscita curiosità, affetto, inusuale comprensione. L’abbraccio, se non libera Andrea dalla malattia, tuttavia rivela come i rapporti umani possano essere sempre il luogo della salute e della medicina reciproca.
Durante la lettura mi domandavo di continuo come avrei reagito all’abbraccio spiazzante di Andrea. Forse è vero che «c’è più di qualche goccia di autismo in ognuno di noi»; siamo tutti pieni di paure del cambiamento, meccanismi di auto protezione. Da cui possiamo liberarci solo mettendoci in viaggio.