Se serve il ricovero
Avevamo portato al pronto soccorso Pierluigi, di 2 anni, perché aveva febbre a 38,5° con tosse insistente e il pediatria di famiglia non era rintracciabile. Il medico ha ritenuto prudente ricoverarlo. Siamo rimasti in ospedale tre giorni: la diagnosi è stata di bronchite ed è stata prescritta terapia da fare a domicilio. A casa il bambino ha avuto vomito e diarrea. Il pediatra curante ha diagnosticato una gastroenterite infettiva probabilmente virale, acquisita in ospedale. Secondo lui il ricovero era stato eccessivo e, per molti versi (vedi la gastroenterite, il disagio del bambino e per tutti noi durante il ricovero), dannoso… Siamo rimasti spiazzati: volevamo fare del bene a nostro figlio e invece….. Barbara – Milano Ibrani riportati sono parte di una più lunga lettera sui ricoveri ospedalieri, argomento che affronterò anche in altre rubriche. Le patologie del bambino sono inquadrate per tipologia e gravità in Linee guida o Protocolli, redatti da pediatri particolarmente esperti di quella malattia. Confrontando quanto viene indicato nei protocolli con ciò che avviene in Italia, si osserva che se ci si attenesse alle indicazioni ufficiali almeno il 30 per cento dei ricoveri e quasi il 50 per cento delle viste richieste al pronto soccorso (ps) in età pediatrica potrebbero essere evitati e trattati efficacemente a domicilio, anche dopo 12-24 ore. Perché questo uso eccessivo del ps e dei ricoveri? Vari fattori sono stati chiamati in causa per spiegare il fenomeno. Tra i più significativi: il ridotto orario di apertura degli ambulatori dei pediatri e dei medici di medicina generale; la realtà di una famiglia in cui i figli nascono in tarda età e sono spesso unici, da conciliare con un lavoro che fa vivere fuori casa gran parte della giornata. L’ipermedicalizzazione diviene allora naturale rimedio alla paura, alle incertezze, al senso di colpa che l’essere molto impegnati dal lavoro talora comporta. Non ultimo è chiamata in causa la necessità dell’azienda ospedale di avere i letti occupati: molti reparti di pediatria se non ricoverassero bambini con gastroenterite, bronchite, polmonite, patologie che nel 90 per cento dei casi non richiederebbero degenza, si troverebbero costretti a chiudere! In effetti il ricovero comporta una spesa enorme al Servizio sanitario nazionale (Ssn), dispendio di risorse che sarebbe auspicabile fossero investite per curare chi ne ha realmente bisogno! Ciò appare tanto più importante anche perché il bambino in ospedale entra in contatto con nuovi e selezionati germi. Non di rado avviene che ci si ricovera per una malattia e si viene dimessi con una diversa, definita patologia nosocomiale (cioè patologia acquisita in ambiente ospedaliero): soprattutto gastroenteriti e infezioni broncopolmonari. I costi indiretti del ricovero, come l’assenza dei genitori dal lavoro e lo stress familiare aggravano ulteriormente il bilancio. L’arma più potente per ridurre l’ospedalizzazione inutile è prevenire il problema con un semplice accorgimento: in occasione dei normali bilanci di salute farsi spiegare dal pediatra cosa fare nel caso il bambino avesse delle urgenze e lui non fosse rintracciabile. Basta il più delle volte avere chiare informazioni su poche cose: febbre, dolori addominali, pianto irrefrenabile, traumi, diarrea, ingestione di corpi estranei, tosse, per prestare efficacemente le prime cure al piccolo e capire se si può attendere o se è il caso di consultare con urgenza un medico(1). In definitiva la strada maestra è instaurare un dialogo vero con il medico, prima che si abbia l’emergenza, arrivando a creare la tanto auspicata alleanza terapeutica genitoribambino- pediatra. Sarà forse l’uovo di Colombo, ma è solo apparentemente semplice e molta strada è da fare per passare da una medicina paternalistica e assistenzialistica ad una medicina centrata sulla persona, in cui il dialogo reciprocamente rispettoso tra paziente e medico sia la regola e non l’eccezione. In questo percorso ciascuno di noi può diventare protagonista, per la sua parte.