Le criticità dei test per magistrati

Note critiche di un ex-magistrato sulla proposta dei test psico-attitudinali per esercitare la professione. Il dubbio che siano “misurabili” i tratti caratteriali e le strutture di personalità con i test psicologici. Controlli e verifiche già esistono nell’ordinamento vigente. Il rischio di una perdita di fiducia dei cittadini nei confronti dei magistrati.
CSM (wikipedia)

Una recentissima notizia rischia di riaprire il fronte di polemiche tra il Governo in carica e la magistratura: l’approvazione da parte del Governo del decreto legislativo n. 44 del 28 marzo 2024, recante attuazione della legge delega di riforma dell’ordinamento giudiziario n.71 del 17 giugno 2022 (nota come “riforma Cartabia”), decreto che introduce, tra l’altro, i cosiddetti test psico-attitudinali per l’ingresso in magistratura.

La notizia era nell’aria da un po’ di tempo, tanto che già in data 3 marzo 2024 il Comitato Direttivo Centrale dell’Associazione Nazionale Magistrati si è espresso in senso fortemente critico sulla proposta di introdurre questi test, osservando che «Appare fin troppo evidente la natura demagogica di questa operazione, che per di più, risolvendosi nella introduzione di una specie di screening di massa dei magistrati, avrebbe anche l’effetto di rallentare l’iter di riempimento delle piante organiche», che inoltre «l’equilibrio di un magistrato si misura sul campo» e «peraltro, i magistrati svolgono anche un periodo di tirocinio prima di assumere le funzioni. Esistono, quindi, all’interno, già tutti i meccanismi per valutarne l’idoneità» (il documento dell’ANM si può leggere nel sito www.associazionemagistrati.it ).

Si profila una contrapposizione, dunque, tra il governo e l’organo associativo dei magistrati ordinari (a cui aderisce circa il 90 per cento dei magistrati italiani); e anche tutti i componenti togati del Consiglio Superiore della Magistratura, con l’aggiunta di due componenti laici, hanno manifestato preoccupazione rispetto all’introduzione dei test psico-attitudinali per l’ingresso in magistratura, chiedendo l’apertura urgente di una pratica presso il C.S.M., in quanto sul punto l’organo di auto-governo della magistratura non ha avuto ancora modo di esprimersi (cfr., al riguardo, l’articolo di P. Frosina, www.ilfattoquotidiano.it, 25 marzo 2024).

Chi scrive è stato magistrato ordinario sino alla fine del 2021 e attualmente è in pensione: quindi, da un lato conosce bene i meccanismi e la realtà della magistratura, in cui ha operato per oltre 38 anni; dall’altro, ha interesse ad approfondire il significato e i limiti di questa innovazione voluta dal governo, con il distacco proprio di chi non fa più parte del mondo giudiziario.

In questa sede, pertanto, si cerca di evitare di assumere posizioni aprioristiche e/o ideologiche, a difesa della categoria dei magistrati contro le ingerenze del potere esecutivo, e di esaminare senza pregiudizi il merito della proposta relativa all’introduzione dei test psico-attitudinali per l’accesso alla magistratura. In primo luogo, va precisato che nel decreto legislativo n. 44/2024 si prevede che in sede di prova orale del concorso sia svolto un «colloquio psico-attitudinale diretto a verificare l’assenza di condizioni di inidoneità alla funzione giudiziaria, come individuate dal Consiglio superiore della magistratura con propria delibera» ( v. art. 5 del decreto in esame, comma 1 lett. b) n. 4 ).

Questo colloquio psico-attitudinale è preceduto dall’effettuazione, da parte dei candidati ammessi alla prova orale, dei test psico-attitudinali individuati dal Consiglio superiore della magistratura, nel rispetto delle linee guida e degli standard internazionali di psicometria, è «diretto dal presidente della seduta con l’ausilio dell’esperto psicologo nominato ai sensi del comma 6» e «si svolge dinanzi alla commissione o alla sottocommissione competente per la prova orale, cui è rimessa la valutazione anche dell’idoneità psico-attitudinale» ( art. 5 comma 1 lett. d ).

Si precisa, ancora, che la nomina degli esperti psicologi tra «docenti universitari titolari di insegnamenti nelle materie psicologiche» è effettuata dal CSM «su proposta del Consiglio universitario nazionale» (art. 5 comma 1 lett. e) e che questa nuova disciplina si applica a partire dal 2026, «ai concorsi banditi in data successiva al 31 dicembre 2025» (art. 8 comma 2 del decreto in oggetto).

Questi aspetti procedurali che prevedono il coinvolgimento del CSM sono stati sottolineati dal governo e dal ministro della Giustizia, rilevandosi che nella specie sono state rispettate le garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura, tanto che tutta la procedura è stata affidata proprio al Consiglio superiore (cfr., in questo senso, l’intervista al ministro Nordio di V. Piccolillo, Corriere della Sera del 29 marzo 2024: «Che la procedura sia affidata al Csm dimostra il nostro rispetto verso l’indipendenza di questo organismo, e della magistratura in generale»).

Tuttavia, qualche dubbio e perplessità sostanziale rimane, malgrado il rispetto di taluni canoni formali: soprattutto, non convince l’affermazione del Guardasigilli secondo cui l’introduzione di questi test dovrebbe assicurare «la garanzia di essere giudicati da magistrati equilibrati, idonei, anche psicologicamente, al loro delicatissimo ruolo» (cfr. intervista cit.).

Questa affermazione non convince, innanzitutto, per la natura dei test psico-attitudinali in questione e per la loro dubbia validità scientifica: infatti, anche nel campo degli psicologi e psicoanalisti non sono pochi i dubbi nei confronti della validità scientifica di questo tipo di test, dubitandosi che siano “misurabili” i tratti caratteriali e le strutture di personalità (cfr. S.Argentieri, Il test ai magistrati è assurdo anche sul piano psicologico, Il Fatto quotidiano “ del 5 aprile 2024: l’autrice segnala altresì «il cattivo uso sempre più vasto degli strumenti psicologici nel campo del sociale, della bioetica e del diritto»).

Dunque, non pare infondata la preoccupazione espressa dal presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Santalucia, laddove egli manifesta il timore che con i test psico-attitudinali «si voglia introdurre la valutazione della personalità che è arbitraria» (v. l’intervista a Santalucia di V. Piccolillo, Corriere della Sera del 27 marzo 2024).

Insomma, ciò che sembra discutibile e criticabile è proprio la pretesa di garantire l’equilibrio e l’idoneità caratteriale di un aspirante magistrato tramite dei test e dei colloqui psicologici, che di per sé non possono fornire dati oggettivi e sufficientemente attendibili da utilizzare a questi fini e, di conseguenza, rischiano di essere arbitrari. Si tratta di uno strumento sbagliato, inadatto allo scopo che dichiara di prefiggersi l’attuale Governo: in questo senso la misura introdotta è inutile e propagandistica, dato che si finisce per «lanciare il messaggio che i magistrati non siano affidabili per equilibrio e si debba verificarne la sanità mentale, con l’unico effetto di indebolire la fiducia dei cittadini nella giustizia» (come denunciato dall’A.N.M. nel documento del 3 marzo 2024 sopra richiamato).

Peraltro, il problema di una verifica e un controllo sull’equilibrio e l’idoneità anche psicologica di un magistrato è reale, atteso che non sempre si assiste a comportamenti adeguati sotto questi aspetti: ma i controlli e le verifiche già esistono nell’ordinamento vigente, fin dall’ingresso in magistratura con la valutazione dei vincitori di concorso durante il periodo di tirocinio ( della  durata di 18 mesi) e poi, nel corso della carriera, con le valutazioni quadriennali di professionalità. Non si avverte la necessità di introdurre una nuova prova di tipo psicologico, la cui affidabilità è assai dubbia come già accennato, ma semmai di rendere i controlli e le verifiche già esistenti più effettivi e calibrati anche sul parametro dell’equilibrio (che per un magistrato è un requisito essenziale).

Un altro aspetto di questa innovazione normativa merita di essere segnalato e sottolineato, in chiave critica: della introduzione di test psico-attitudinali o di un colloquio psico-attitudinale per l’accesso in magistratura non vi era parola nella legge delega per la riforma dell’ordinamento giudiziario (l. 71 / 2022 ), adottata dal Parlamento e contenente i “principi e criteri direttivi “ a cui il Governo si deve attenere nell’esercizio della delega, ai sensi dell’art.76 Cost.

Infatti, nel testo della legge delega si prevedono i principi e criteri direttivi da seguire per la modifica alla disciplina dell’accesso in magistratura, all’art. 4, ma tra questi non sono contemplati i test o colloqui psico-attitudinali: anzi, si potrebbe evidenziare che i principi e criteri individuati dal Parlamento vanno nella direzione di una «riduzione dei tempi per l’accesso in magistratura» (come indica la rubrica dell’art. 4) e specificamente prevedono «una riduzione delle materie oggetto della prova orale del concorso per magistrato ordinario» ( lettera e) dell’art. 4 ), mentre il decreto legislativo adottato dal Governo va in una direzione opposta. Quindi, è corretta sul piano giuridico l’obiezione formulata dall’ex-magistrato Armando Spataro: «basta dire che la previsione è totalmente fuori dai contenuti della legge delega da cui il decreto legislativo trae origine» (cfr. l’intervista a Spataro di L. Milella, La Repubblica del 30 marzo 2024).

Si noti che il rispetto dei principi e criteri direttivi enunciati nella legge-delega da parte del legislatore delegato è dovuto sul piano costituzionale, anche se la Corte costituzionale nella sua evoluzione giurisprudenziale è giunta a ritenere compatibile con l’art.76 Cost. anche «l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante» (Corte cost. sentenze 426/2006 e 341/ 2007).

In ogni caso, la materia è delicata poiché investe principi costituzionali e rapporti tra organi primari come il Parlamento, il Governo, la Magistratura.

Avviandoci alla conclusione di queste brevi note, non è sicuramente auspicabile che si ripresenti un clima di scontro tra magistratura e governo, con toni accesi, polemici e semplificatori da una parte e dall’altra; tuttavia, l’argomento ora in discussione è importante e delicato e non può essere sottovalutato. Le critiche ai test e ai colloqui psico-attitudinali introdotti dal governo, se condotte in modo pacato e non ideologico, sono non soltanto legittime, ma altresì doverose per indurre il Parlamento e il governo a ripensare ad una misura che rischia di produrre effetti solo negativi, senza alcun beneficio per i cittadini e per l’obiettivo di una giustizia più equa e ragionevole.

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