Se mi deludi mi cancello
Il grande fratello ti guarda. Solo che questa volta ha un nome e un cognome: Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, il più usato e più vituperato social network al mondo. Intendiamoci, non che sia materialmente lui: difficilmente potrebbe spiare di persona tutti i 400 mila utenti della sua creatura.
Ma quella rete nata nel 2004 quasi per gioco, allo scopo di tenere in contatto gli studenti universitari di Harvard, è diventata un colosso sfuggito dalle mani del suo stesso creatore: basti pensare che nel 2007 Microsoft ne ha acquisito l'1,6 per cento per 240 milioni di dollari.
Nel 2009 il sito ha ricavato 550 milioni di dollari, grazie in primo luogo alla pubblicità. I dati inseriti dagli utenti – dall'indirizzo mail alle foto – diventano infatti di proprietà di Facebook: fin troppo facile renderli disponibili a terzi che, guarda un po', fanno comparire sul tuo profilo proprio quell'offerta su misura per te.
Per questo tanti utenti hanno deciso di dire basta: stufi dell'invasione di quello che volevano fosse un loro spazio personale, o di sentirsi dipendenti da un mezzo di comunicazione che assorbe spesso più tempo ed energie del dovuto, hanno proclamato per il 31 maggio il Quit Facebook day, il giorno dell'abbandono di Facebook.
Il sito ufficiale dell'iniziativa – www.quitfacebookday.com – conta, al momento in cui scriviamo, 26.035 aderenti. Il manifesto del gruppo non motiva la scelta di cancellare il proprio account soltanto con questioni di privacy: «Abbiamo molto a cuore il futuro del web – affermano – come uno spazio aperto, sicuro e umano. Riteniamo che Facebook, non fornendo all'utente la possibilità di scegliere in maniera realmente libera e consapevole come gestire i propri dati, non dia un contributo positivo in questo senso».
Non che il buon vecchio – si fa per dire, dato che ha appena 26 anni – Zuckerberg non abbia mai fatto un mea culpa: poco tempo fa ha ammesso di aver peccato di spregiudicatezza nella gestione dei dati degli utenti e fatto marcia indietro, annunciando meccanismi più semplici ed efficaci per il controllo della privacy.
Ma ormai, appunto, non è più solo una questione di privacy: lasciare Facebook significa, per chi aderisce, affermare prima di tutto la necessità di riappropriarsi di una sfera “riservata” della propria vita, e chiedersi in maniera critica che direzione dare ai futuri sviluppi del web.
Facile a dirsi, più difficile a farsi: per i Facebook dipendenti, afferma il sito della giornata, «è un po' come smettere di fumare». Per questo fornisce link ad articoli sul tema «per poter fare una scelta consapevole», e suggerisce altri sistemi di comunicare o social network meno “pressanti”: «Se l'intera popolazione del Brasile usa Orkut – afferma – allora sicuramente c'è speranza anche per te di trovare una nuova casa sul web».
E se non c'è, ci si arrangia: è prevista per settembre la partenza del progetto Diaspora, promosso dalla rivista Wired, mirato a creare un social network più aperto e trasparente rispetto a quelli attuali.
Quanti di questi 26 mila alla fine cancelleranno davvero il proprio account, sapendo che tutto ciò che vi hanno inserito rimarrà comunque in rete? I conti si faranno a fine giornata. Ma al di là dei numeri, ciò che vale è il messaggio: vogliamo un web che concili il legittimo profitto di chi vi lavora con le esigenze degli utenti. E lo riteniamo possibile.