Se la banca pratica tassi usurari, stop agli interessi su mutui e prestiti?

Un'importante decisione della Corte di Cassazione a difesa dei clienti delle banche è stata rilanciata, nelle settimane scorse, dalla trasmissione Le Iene. Le associazioni dei consumatori adesso invitano i propri associati a verificare i tassi applicati dagli istituti di credito e a chiedere eventualmente i rimborsi. Ma davvero se gli interessi sono troppo alti non bisogna più pagarli? Il parere dell’esperto
banconote euro

Con una comunicazione del 6 giugno 2013 la Confederazione Generale dei Consumatori ha invitato i suoi associati a scaricare dal suo sito un modello per chiedere alla banca (con cui si è stipulato un mutuo) di restituire tutti gli interessi indebitamente percepiti se superiori al cosiddetto “tasso soglia”, e cioè il tasso al di sopra del quale gli interessi percepiti sono considerati illegittimi, perché “usurari”.

Il modello ‘di diffida’ elaborato dall’associazione di consumatori in questione prende spunto da una sentenza della Cassazione, la n. 350 depositata il 9 gennaio 2013, per la quale – peraltro come dalla stessa Suprema Corte già affermato anni addietro in altra sentenza (la numero 5324 del 2003) – nel computo degli interessi da prendere in considerazione (per valutarne la illegittimità) vanno ricompresi anche quelli “moratori”, e cioè in buona sostanza gli interessi che il cliente/mutuatario s’impegna a versare all’Istituto di credito mutuante all’atto della stipula del mutuo in caso di eventuale ritardo nel pagamento delle rate di rimborso del prestito. Ciò perché – secondo la sentenza del 2013 – «si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori».

Quali effetti reali?
Nel modello “si diffida” l’Istituto mutuante (che abbia stipulato un mutuo con tassi ‘usurari’) ad accertare che null’altro sia dovuto a titolo di interessi e a calcolare le future rate tenendo conto solo del capitale residuo a versarsi.

Potrebbe sembrare una “minaccia” forte; eppure il nostro codice civile prevede proprio (all’art. 1815 c.c.) che «se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi»; sicché sembrerebbe che la sola previsione di siffatti interessi comporti, a mò di sanzione nei confronti dell’Istituto mutuante, la possibilità di non percepire più – nel prosieguo del rapporto – alcun interesse sulla somma data a prestito, nemmeno se rispettoso del limite previsto dal “tasso soglia”.

Senza dire che un comportamento con profili ‘usurari’ – specie se tenuto nell’esercizio di un’attività bancaria – potrebbe essere anche penalmente rilevante, con sgradevoli conseguenze per l’autore della condotta illegittima.

Alcune precisazioni
È bene precisare però che il carattere usurario degli interessi promessi o comunque convenuti non determina di regola la nullità dell’intero contratto di mutuo (perché ciò significherebbe esporre il cliente/mutuatario all’obbligo dell’immediato rimborso del prestito ottenuto e quindi potrebbe costituire per il medesimo un pregiudizio ancor più grave, pur sempre fatto salvo il risarcimento del danno patito), ma solo della clausola che prevede o stabilisce il versamento degli interessi illegittimi.

La sentenza della Cassazione ha giustamente indotto ad alzare il livello di ‘guardia’ e di attenzione verso l’ammontare degli interessi (tutti, anche quelli moratori) promessi o pattuiti con la Banca nei contratti di mutuo e ad innescare eventuali meccanismi (anche legali) per la restituzione di quanto indebitamente percepito dalle Banche.

Tali interessi poi – in considerazione dei livelli bassissimi raggiunti in questo periodo storico dal costo del danaro per le banche – dovrebbero essere anch’essi di regola assai contenuti se solo le banche a loro volta non applicassero alle operazioni di finanziamento dei margini di guadagno (chiamati ‘spread’) talora insostenibili da parte della clientela.

Il “campanello d’allarme” suonato dalla Suprema Corte, sulla base del resto di quanto già previsto dalla normativa vigente, si colloca in un tempo ‘difficile’ per l’erogazione del credito bancario, che avviene – quando avviene – con grande difficoltà e prudenza e quindi con grave danno per la ripresa economica generale, per imprese e privati cittadini, in generale.

La speranza è che allora della sentenza ricordata si dia – soprattutto da parte delle banche – una lettura equilibrata, non preoccupata né preoccupante, e tale comunque da non rendere ancora più difficoltoso l’accesso al credito.

Adriano Pischetola

Notaio in Perugia (www.adrianopischetola.it)

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