Se il mare è un bene comune
Ogni anno sempre meno famiglie riescono ad andare in vacanza. In una penisola circondata da isole grandi e piccole, non dovrebbe essere un problema, per molti, raggiungere il mare. Quasi 7 mila e 500 chilometri di costa sono un patrimonio comune. È territorio demaniale, cioè dello Stato. Come le montagne o i fiumi.
Affiora, di nuovo, la percezione dei beni che sono di tutti. Finora abbiamo assimilato l’idea dei recinti, della divisione di ciò che era comune, delle sbarre, dei cancello, anche quando sono del tutto ingiustificati. Così abbiamo, spesso, stabilimenti balneari ben curati, accanto a spazi sempre più ridotti di spiaggia pubblica maltenuta e affollata. Ogni località è certo diversa, ma va giudicata anche in base alla porzione di spiaggia libera, pulita e sorvegliata che riesce ad assicurare per tutti.
I titolari degli stabilimenti, tuttavia, hanno in concessione dal pubblico la gestione dell’arenile e svolgono, spesso, un ottimo servizio, ma non ne sono i proprietari; anche se la conduzione dura da decenni con canoni a volte molto bassi. Restano fuori dalla concessione i cinque metri della battigia, accessibile a chiunque.
Dopo aver scaricato uno o più passeggini da un’auto assolata, non è piacevole passare da “scocciatore”, ma, se qualcuno impedisce la libera entrata al mare, si ha il diritto di chiedere l’intervento della Capitaneria di porto, dei vigili urbani e dei carabinieri, che ben conoscono la legge. Lo stesso per segnalare la sporcizia della spiaggia libera o di certi scarichi in mare.
Basta condividere con altri la cura per i beni comuni. Sul sito dell’Arpa di zona, ad esempio, si può scoprire la balneabilità effettiva delle acque dove sguazzano i bambini. Altro che parole crociate e rebus.