Se 256 euro vi sembrano troppi…
Rimane ancora in piedi, nella manovra economica in discussione, un taglio che colpisce coloro che hanno handicap tra il 75 e l’85 per cento. La petizione "Giù le mani dai disabili".
Meno di 24 ore e la presidente di Confindustria ha potuto affermare di aver telefonato a Tremonti facendo rientrare una misura irragionevole che minacciava il credito delle imprese. Così anche i tagli sulle tredicesime di poliziotti e magistrati sono stati prontamente ritirati.
Stranamente rimane ancora in vita la decisione di risparmiare tagliando circa 30 milioni di euro, non riconoscendo l’assegno mensile a coloro che hanno un’invalidità superiore al 74 per cento ma inferiore all’85. Una fascia che copre persone colpite da gravi menomazioni, possiedono bassissimi redditi e non lavorano. Togliere l’assegno mensile di 256 euro sembra una misura iniqua e fuori da ogni utilità. Non si tratta di falsi invalidi: per questi è stata giustamente approntata una squadra di ispettori che avrà il compito di scovare le frodi che hanno tante responsabilità.
A prima vista la decisione contenuta nella manovra finanziaria aveva l’aspetto di un refuso, un errore di battitura. Deputati e senatori di entrambe gli schieramenti si sono mossi per far correggere l’anomalia sotto la pressione dei propri elettori e delle associazioni. Dopo un primo articolo sul caso, pubblicato nel sito di Citta Nuova, avevamo sentito Pietro Barbieri, presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap (Fish) che si era detto fiducioso, tanto da rilasciare un comunicato stampa del 25 giugno dopo l’incontro con il presidente della Commissione bilancio del Senato, Antonio Azzolini, che aveva assicurato la soppressione della misura che appare ingiustificata e discriminatoria. Quella stessa Commissione che, in un primo tempo, non aveva ritenuto di ricevere in audizione le stesse associazioni che radunano i familiari e le persone con disabilità.
Nello stesso comunicato, sottoscritto con la Fand (Federazione tra le associazioni nazionali dei disabili), si assicurava, tuttavia, la vigilanza civica sui tagli della spesa sociale demandati comunque alle Regioni e sulla campagna mediatica legata alla manovra che mirava ad associare l’immagine dei falsi invalidi con la decisione di alzare la percentuale per il riconoscimento dell’assegno di invalidità.
Cosa è successo nel frattempo? È stato effettivamente presentato un emendamento alla manovra Finanziaria Correttiva, ma «creando una discriminazione tra le persone affette da una sola minorazione (con percentuale di invalidità superiore al 74%) e quelle affette da varie patologie inferiori all’85 per cento. Ai primi andrebbe l’assegno ai secondi no».
L’emendamento, se non aggiusta un errore, ne produce altri, perché va a colpire anche l’indennità di accompagnamento. Si tratta di 480 euro per 12 mensilità riconosciute, senza limiti di reddito, agli invalidi civili totalmente inabili. Per risparmiare prevede una modifica delle condizioni medico-legali per accedere alla stessa indennità che verrebbe riconosciuta, da ora in poi, solo a chi è immobilizzato o che non riesce a svolgere tutte le funzioni fisiologiche.
Un criterio che provocherebbe secondo la Fish «una disperata schiera di nuovi esclusi: persone con sindrome di Down; persone che deambulano a fatica e tra mille difficoltà (amputati, poliomielitici); persone che riescono a guidare con adattamenti; probabilmente persone che lavorano; persone che riescono a vestirsi o a mangiare, ma che magari non sanno dove sono, chi sono, dove vanno».
Dopo i tanti tentativi di dialogo è stato perciò lanciato un appello per la manifestazione nazionale del 7 luglio davanti al Parlamento da parte della Fand e dalla Fish, con l’adesione di grandi associazioni come l’Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale), l’Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare) e l’Aice (Associazione italiana contro l’epilessia), federazioni nazionali come la Faip (Federazione associazioni italiane paratetraplegici) o regionali come la Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità). Secondo i promotori «si mette in gioco la piena cittadinanza delle persone con disabilità in questo Paese».
Fare una manifestazione sotto il solleone di luglio a Roma, diventata afosa in questi giorni, non produce notizia. Qualcuno a protestare davanti a Palazzo Montecitorio, scortato da un benevolo cordone di polizia, si trova sempre. La procedura è sempre la stessa con un delegato che, alla fine, viene ricevuto da qualche responsabile istituzionale che assicura attenzione alle ragioni della protesta. Si affaccia qualche deputato dell’opposizione che solidarizza.
La cosa passa, di solito, inosservata con migliaia di turisti che passeggiano nel centro storico della Capitale. Persone sensibili, stando a casa, non negano di cliccare la petizione sul sito di Vita. Ma la questione fondamentale è un’altra. Perché lo sdegno dura solo un attimo e non produce un cambiamento reale? Cosa occorre per smuovere le coscienze e rimuovere una decisione ingiusta che mina le regole minime di convivenza? Le persone con disabilità e i loro familiari non amano far polemiche o manifestazioni. Chiedono di poter essere ascoltate.