A scuola nel “giardino delle parole”
Nell’Isola bergamasca, come viene definito il territorio compreso tra i fiumi Brembo e Adda, si trova il Comune di Mapello. Con i suoi 6.870 abitanti è un centro abitato tranquillo lungo la Briantea, la strada che collega Bergamo a Lecco e alla Brianza, e sorge ai piedi del Monte Canto. In questo luogo a stretto contatto con la natura e le tradizioni, nasce nel febbraio del 2014 un progetto fuori dalle righe: la scuola di alfabetizzazione “Il giardino delle parole”.
Tutto inizia nel 2013, dall’idea di alcune volontarie che facevano parte di un gruppo di lettura costituitosi attorno al libro L’altro siamo noi di Enzo Bianchi (Einaudi 2010). Dopo un po’ di incontri hanno iniziato a chiedersi come poter attuare concretamente ciò che avevano letto ed è stato aperto un laboratorio di cucito, frequentato anche da molte donne straniere che avevano difficoltà con la lingua italiana. Da questa attenzione verso di loro, nasce la proposta della scuola “Il giardino delle parole”, un corso di alfabetizzazione per donne e uomini stranieri, la cui finalità principale è creare cittadinanza attiva e che dal 2015 fa anche parte dell’associazione “Il porto”.
Oggi, dopo 6 anni dall’inizio del progetto, “Il giardino delle parole” accoglie per due mattine a settimana una quarantina di alunni e alunne, residenti nel Comune di Mapello, nelle frazioni del Comune e in alcuni paesi limitrofi. Gli allievi sono raggruppati in 5 classi miste, a seconda del proprio livello di alfabetizzazione, seguite da 10 insegnanti. È attivo anche un servizio di baby-sitting per le giovani mamme della scuola, in modo da incentivarle comunque a partecipare alle lezioni.
«La scuola non è un atto di pietà o compassione, ma uno sforzo per costruire cittadinanza consapevole», afferma Miris Baldi, la responsabile del progetto. «Come scuola abbiamo una fitta rete di relazioni con molte realtà attive sul nostro territorio, come le parrocchie e le altre associazioni, proprio per garantire insieme questo obiettivo. Prima era il Comune a gestire questo tipo di servizi ma, a causa dei tagli, ha dovuto rinunciarci. Ed è qui che entriamo in gioco noi volontari. Al Comune comunque dobbiamo la possibilità di poter usufruire di un pulmino che accompagna gli alunni a scuola e di un contributo che ci permette di coprire molte spese e di corrispondere alle insegnanti più giovani, che sono ancora studentesse o che non hanno un lavoro stabile, dei voucher, svolgendo così di fatto una duplice funzione: siamo una scuola e un miniaiuto per chi non ha ancora un’occupazione stabile e sicura».
Nessuno dei volontari ha fatto un corso per imparare a insegnare l’italiano agli stranieri e negli anni hanno imparato a costruirsi da soli un metodo per accompagnare i propri alunni nell’apprendimento. «Ho iniziato questa esperienza all’inizio della pensione e mi chiedevo se sarei stata capace di trasformarmi da infermiera a insegnante», dice Betty, volontaria e insegnante della scuola.
«All’inizio ero molto titubante, ma poi, passo dopo passo, è andata sempre meglio. Quando vado a scuola, sono contenta!». «Mi piace pensare che la scuola voglia dare un’occasione a chi solitamente non ne ha», aggiunge Elena, una giovane docente.
Ma quali sono le prospettive per il futuro? «Spero che il progetto continui e che cresca ancora», mi confida Noemi, un’altra giovane insegnante. «La scuola mi ha dato tanto. Sarebbe bello se la scuola diventasse ancora più solida e permettesse a noi giovani insegnanti, come per i nostri alunni, di crearci un futuro. Ma forse sono solo sogni». C’è un proverbio africano che dice: «Se si sogna da soli, è solo un sogno; se si sogna insieme, è la realtà che comincia» e nella scuola “Il giardino delle parole” ci vogliono credere.