Scuola, lettera dalla trincea
Una delle tante cosiddette trincee di questa estenuante guerra contro il coronavirus è quella delimitata dai banchi di scuola su cui ogni giorno i nostri studenti si siedono. Sfidano la pandemia armati di gel e mascherine per poter difendere uno forse dei più importanti aspetti della loro età: l’amicizia. Eh sì, proprio così. I nostri ragazzi hanno sicuramente bisogno di venire a scuola per imparare e ricevere un’istruzione che gli apra le porte del futuro, ma ancor di più hanno bisogno di sperimentare quelle relazioni che non sempre e non tutti hanno a casa, o nel quartiere dove vivono, o nelle attività pomeridiane, queste ultime nella maggior parte dei casi sospese dall’emergenza sanitaria. Sospese, come il tempo che tutti noi viviamo, che ci costringe a ripensare tanti aspetti della nostra quotidianità.
Ho la fortuna di potermi trovare nella stessa trincea anch’io tutti i giorni e poter passeggiare, mantenendo le dovute distanze, tra quei banchi.
Con i ragazzi ogni giorno la prima cosa che cerchiamo di imparare è proprio come custodire l’amicizia tra tutti nonostante le distanze che impediscono l’intimità tipica dell’amicizia adolescenziale, nonostante le mascherine che ci impediscono di vedere il sorriso, nonostante gli intervalli in cui siamo costretti a stare seduti al banco e non poter correre dall’amica del cuore per confidarle quel segreto che non direi a nessun altro.
In questi primi mesi di scuola ho imparato che l’attenzione e la cura per ciascun ragazzo, che di solito cerco di mettere mentre insegno le frazioni o le operazioni, non sono proibite.
Finora nessun DPCM le ha vietate e di qualsiasi colore diventi la regione in cui vivo potrò continuare ad avere uno sguardo di comprensione per quell’alunna che non viene mai a scuola e dirle “sono felice di vederti oggi” il giorno che è presente, potrò con dolcezza dire qualche parola di conforto a quell’alunno che piange perchè la mamma è ricoverata in ospedale e non la può vedere da giorni, potrò dire “hai fatto un lavoro bellissimo” a quell’alunno che ha passato il pomeriggio a costruire un modellino del sistema circolatorio da presentare all’interrogazione del giorno dopo.
Le parole mi permettono ogni giorno di essere vicino a ciascuno di loro, di provare a entrare nel loro cuore, come posso, da professoressa, per quanto loro me lo consentono.
Spero che nessun DPCM mi impedisca di poter essere questa presenza in classe. Spero che nessun DPCM mi impedisca di poter guardare ogni mattina i miei alunni negli occhi e trovare nel loro sguardo la speranza per affrontare la giornata e arrivare col sorriso fino a sera.
Lucia Salari