Una scuola che guarda lontano
L’Istituto Montini, una scuola paritaria comprendente i licei classico e linguistico, è stato fondato nel 1976 a Milano da mons. Carlo Calori, che ne è stato il rettore fino alla sua morte nel 2006, quando mi è stato chiesto di prenderne il posto, pur continuando a svolgere il ministero di parroco in una grande parrocchia di Milano.
Il servizio di rettore è un po’ il mio “volontariato” e lo vivo non solo rispondendo così alla richiesta fattami dalla diocesi, ma soprattutto in un’appassionata attenzione alla gioventù, che merita ambienti scolastici qualificati e ha bisogno di proposte formative serie e motivanti, nel pieno rispetto delle scelte educative delle famiglie.
Scuola accessibile
a tutti, grazie a una comunione di beni
Con i suoi 250 alunni, l’Istituto Montini è aperto agli studenti d’ogni ceto sociale e la partecipazione finanziaria è lasciata alla discrezione e sensibilità delle singole famiglie.
L’aspetto economico è certamente quello che appare come più innovativo. Personalmente ho sempre visto come una profonda ingiustizia sociale il fatto che solo i “ricchi” avessero la possibilità di accedere a livelli qualitativamente superiori di istruzione e potessero avere un’educazione cattolica in quanto “benestanti”, come invece l’attuale sistema scolastico italiano determina. Ma com’è possibile, in questo quadro giuridico, portare avanti una scuola cattolica che sia accessibile a tutti?
Per assicurare questa dimensione “popolare” dell’educazione cattolica è nata una cooperativa come ente gestore della nostra realtà scolastica e si sono coinvolte le famiglie attorno a questo ideale di comunione, in cui chi ha di più aiuta chi meno può. In concreto, all’inizio dell’anno ogni famiglia in libertà di coscienza e senza alcun controllo dichiara quanto potrà dare per sostenere le spese per il mantenimento scolastico del figlio. A quel punto, col Consiglio d’amministrazione, verifichiamo quanto manca per chiudere in pareggio il bilancio della cooperativa e ci diamo da fare con tutte le componenti scolastiche – studenti, insegnanti e genitori – per colmare il disavanzo. Raccolte, mercatini, lezioni gratuite pomeridiane, iniziative varie… diventano luogo di reciproco scambio e attività, in cui la comunione e la reciprocità si traducono in relazioni e gesti concreti di solidarietà.
Tale scelta di gestione economica ci ha portato non poche volte a sperimentare la concretezza della Provvidenza di Dio, la quale, però, come diceva san Giovanni Bosco, arriva spesso con un minuto di “ritardo”. Quanto basta per farci ogni volta preoccupare e ogni volta esultare, per una fede che vede alla prova dei fatti l’autenticità delle promesse del Vangelo. Tre anni fa, per esempio, ci mancavano 68.000 euro per chiudere in pareggio il bilancio: ebbene, poco prima di dover dichiarare fallimento ci sono arrivati, dalla Provvidenza, sottoforma di benefattori e donazioni varie, esattamente 68.000 euro!
Pensare, sentire, fare
Ma non è solo la gestione economica a caratterizzare l’Istituto Montini. Decisiva è soprattutto la dimensione educativa, vissuta sia attraverso l’insegnamento didattico, sia attraverso la reciproca relazionalità educativa e il fare concreto della generosità, mettendo in atto quella triplice attitudine formativa di cui parla spesso Papa Francesco: “testa, cuore, mani”.
Se infatti la testa si educa attraverso una didattica esigente e di qualità, che però non esclude i più deboli ma offre a tutti gli strumenti per raggiungere i propri obiettivi, il cuore e le mani necessitano altre cure e attenzioni.
Il cuore, infatti, indica la dimensione relazionale che s’instaura nell’ambito scolastico ed extrascolastico. È la relazione non solo dei docenti tra loro ma anche con gli allievi e viceversa, in una logica di reciprocità in cui ciascuno concepisce l’altro come dono per sé e cerca di vivere sé come dono per l’altro; è la relazione dei genitori con i professori, che non si limita alle rimostranze sui voti, ma vuol creare un’alleanza educativa per il bene dei ragazzi e delle ragazze; è la relazione con Dio, riconosciuto come “sommo bene” che ci attrae e ci chiama, con una proposta di fede e di cammino spirituale personale e comunitario intensa, pur nel rispetto di chi vive religioni e convinzioni diverse.
Una scuola
«in uscita»
Non bastano però queste due dimensioni (testa e cuore). Occorre “fare” ciò che si pensa e si sente, pensare ciò che si fa, e sentire ciò che si studia e si realizza. Ecco perché è per noi fondamentale pure il “fare” concreto della carità, con proposte di volontariato non solo in corso d’anno ma anche in estate: coi ragazzi di strada del quartiere Zen a Palermo, nei campi di lavoro in Terra Santa, coi senza fissa dimora a Roma e a Venezia, coi disabili di don Orione in Liguria… giusto per citare alcune delle esperienze nelle quali ci impegniamo ogni anno con gli studenti e i docenti.
Sono proposte in cui gli studenti che decidono di partecipare vivono momenti d’incontro e di servizio. A Palermo, per esempio, insieme alle Suore della Carità di Maria Bambina, facciamo giocare i bambini del quartiere, instauriamo con loro e con gli animatori del posto una relazione amicale, senza la presunzione di avere qualcosa da insegnare, ma col desiderio di camminare al loro passo, cercando di “vivere l’altro”, di “camminare con le loro scarpe”. Al contempo, proponiamo percorsi sul tema della legalità, con incontri e testimonianze. Particolarmente toccanti, l’anno scorso, quelle di Rita Borsellino e del fratello di Peppino Impastato. Il tutto in uno stile “povero” e semplice, di piena condivisione: nessuno lì è “professore”, ma tutti siamo “allievi gli uni degli altri”. Sono anche per me momenti particolarmente forti, sia per la relazione che nasce con gli studenti, sia per quanto mi è dato di imparare soprattutto in termini di qualità umana dei rapporti. E lo stesso discorso vale sia con i disabili sia coi senza fissa dimora.
Anche in Terra Santa cerchiamo di vivere questa stessa logica del “fare con” più che il “fare per”, nei campi palestinesi con le Suore Guanelliane a Ortaz e gli orfani della Cresh a Betlemme, coi Guanelliani e i loro duecento bambini disabili e nel giardino delle clarisse, ambedue a Nazareth. Non è “elemosina” in cui chi più ha con uno stile di superiorità dona a chi non ha, bensì “incarnazione”, condivisione solidale, con fratelli e sorelle che vivono situazioni diverse dalle nostre. Vivere così il pellegrinaggio ci consente di comprendere meglio e più profondamente il “prendere dimora” di Dio in una terra e in un popolo: diventa un “toccare” la sua carne e attualizzare ogni giorno il suo Vangelo. Il tutto dentro un’esperienza profonda di unità, per cui non andiamo solo a incontrare i “luoghi” di Gesù, ma – se così si può dire – riportiamo Gesù, vivo tra noi, “a casa sua”.
Da due anni poi, abbiamo deciso di far nascere un Liceo Montini 2 in Guinea, aiutando soprattutto nella formazione degli insegnanti e nella collaborazione educativa.
Cerchiamo di salvaguardare questa dimensione di un uscire nella logica della carità evangelica pure adesso, dopo che il Ministero per la pubblica istruzione ha indicato la nuova strada dell’alternanza scuola-lavoro. Da un lato vediamo la necessità di proporre agli studenti anche lavori di qualità presso cooperative e luoghi significativi di cooperazione sociale, dall’altro ci sembra opportuno non perdere la dimensione gratuita del volontariato, vissuto non per un “tornaconto personale”, ma solo per il bene dell’altro.
Libertà e fallimento educativo
Tutto ciò lo proponiamo nella forma della libertà. Il mantenimento economico è affidato alla libera contribuzione secondo coscienza; le iniziative sono facoltative e non determinano nessun “voto di condotta”; alle famiglie è chiesta la libera collaborazione, come pure agli insegnanti la possibilità o meno di aderire a ciò che proponiamo oltre l’orario di lavoro. L’amore, infatti, non può essere né costretto né comprato! L’amore è sempre libero o non è. Neppure Dio ci “obbliga” al bene per andare in Paradiso: ce lo ha già “meritato” lui!
Certo, non mancano le esperienze anche di fallimento educativo. Oggi gli adolescenti, come scriveva Umberto Galimberti, «stanno male anche se non sempre lo sanno»: difficoltà affettive, «valori supremi che perdono ogni valore», famiglie disgregate, senso di frustrazione e di vuoto per il futuro riempito da gioie illusorie e passeggere o dalla divano-felicità di cui parlava Papa Francesco alla Giornata mondiale della gioventù a Cracovia, e così via, ne minano il cuore e le energie.
A livello educativo si ha talvolta la sensazione di lottare contro i mulini a vento e non sempre i risultati sono evidenti come si vorrebbe. Ma la gioia dell’educare sta… nell’educare (!), non nel raccogliere, e i tempi appartengono a Dio. Diceva Papa Francesco ai sacerdoti e ai consacrati, durante la sua visita a Milano: «l’evangelizzazione non sempre è sinonimo di “prendere i pesci”: è andare, prendere il largo, dare testimonianza… e poi il Signore, Lui “prende i pesci”. Quando, come e dove, noi non lo sappiamo. E questo è molto importante. E anche partire da quella realtà, che noi siamo strumenti, strumenti inutili. […] Non perdere la gioia di evangelizzare. Perché evangelizzare è una gioia».
Gesù stesso ha fatto a Nazareth esperienza del fallimento educativo, eppure è stato Dio anche in questo fallimento, cosicché tutto diventa incontro col suo volto. È questo sguardo che sostiene la nostra fragilità e i nostri errori. Ed è questo sguardo che raccoglie le nostre povere energie e le trasforma in un “oltre” che ci supera e ridona gioia e passione.
Premessa non facoltativa:
la logica del «noi»
Ma com’è possibile vivere tutto ciò? Il segreto mi sembra non stia nell’organizzazione o in una saggia programmazione, e neppure nelle nostre qualità: non siamo migliori degli altri! Il segreto risiede nel puntare a vivere, a monte e dentro l’esperienza educativa, una relazione di fraternità e di comunione profonda. In primo luogo col preside della scuola e con il presidente della cooperativa, con cui condivido la gestione educativa, didattica ed economica. Poi con il Comitato di gestione in cui le diverse componenti scolastiche si confrontano in modo franco e fraterno, per discernere insieme i passi opportuni per educare evangelicamente nell’oggi i ragazzi. Infine offrendo occasioni di vita fraterna e un clima sereno di rapporti umani improntati alla logica della reciprocità, in cui ciascuno, pur nel proprio ruolo, interagisce positivamente con gli altri, mettendo in rilievo il positivo di tutti e di ciascuno.
Mi accorgo che è solo dentro questa trama di relazioni, in un continuo “gioco” di amore, perdendomi nelle idee dell’altro e valorizzando i doni di ognuno, che mi è possibile, pur continuando a vivere il ministero di parroco, gestire e vivere anche questo servizio educativo. È il “noi” che valorizza e sostiene l’io di ciascuno e lo restituisce arricchito. E di questo anche gli studenti si rendono conto e ne restano, sovente, conquistati.