Scuola e coronavirus: guardare avanti
In questi giorni in cui migliaia di studenti non possono frequentare gli istituti scolastici, a causa del decreto del Governo di sospensione delle lezioni, è rimbalzata all’attenzione pubblica la questione educativa, anzi la questione scuola.
In questo momento di emergenza, insegnanti e alunni si stanno organizzando tramite varie iniziative per proseguire la formazione tramite la didattica a distanza.
Sul sito del Ministero dell’Istruzione ci sono alcune indicazioni come quelle di avviare un minimo di programmazione per evitare che si sovrappongano diverse discipline, registrazioni video, utilizzo di piattaforme didattiche.
Sui social media molti docenti raccontano in maniera positiva la novità di questa esperienza, tanti studenti fanno i compiti insieme tramite le videochiamate e le chat di gruppo, ma molti altri insegnanti – e anche alunni – si trovano disarmati davanti allo stop forzato che andrà ancora avanti per qualche settimana, verosimilmente fino a dopo le vacanze pasquali. Soprattutto a dirlo sono gli studenti che devono affrontare la maturità, un disagio enorme che dovrebbe essere osservato maggiormente. Il compito dei dirigenti scolastici sarebbe proprio quello di incoraggiare i propri docenti ad attivarsi subito, come da circolare ministeriale, perché ancora molti insegnanti hanno difficoltà di organizzazione per un lavoro a distanza.
Nello stesso tempo, è venuto prepotentemente in rilievo come il compito della scuola sia proprio quello di sviluppare in ogni ragazzo il senso di appartenenza alla comunità civile di cui la scuola è un’espressione.
Alcuni interventi sui media, specialmente di persone non addette ai lavori, sono favorevoli nel delegare al digitale e alla didattica on-air una buona parte del compito degli insegnanti, ma sta crescendo la consapevolezza che la mission educativa è ben altra. Nostalgia dei banchi di scuola?
Sono venuti in risalto il potenziamento della qualità dell’insegnamento, il valore del rapporto tra insegnante e alunno, il clima di cooperazione e di fiducia che s’instaura all’interno dell’unità scolastica.
La scuola pubblica è stata per troppi decenni lasciata a se stessa, con risorse irrisorie e insufficienti a fronteggiare la sempiterna enorme questione educativa. Lo sanno bene i docenti e i dirigenti scolastici di alcune aree del Paese che in questo momento non hanno gli strumenti idonei per tentare di organizzare una didattica a distanza. Moltissime scuole e famiglie ancora non possono permettersi l’uso della connessione wifi, o l’acquisto di tablet e portatili, o seguire in casa i propri figli: alla fine, chi pagherà maggiormente le conseguenze del fermo delle scuole saranno i più emarginati, i poveri.
«La scuola non può perseguire i suoi fini istituzionali d’istruzione e di promozione dell’apprendimento, per rendere effettivo il diritto allo studio, senza farsi carico per la sua parte della rimozione degli ostacoli che compromettono il raggiungimento di tali fini», scrive Giulio De Martino. Gli ostacoli sono sempre nuovi e non possono essere più affrontati con i metodi e i mezzi abituali e assistenziali, come il criterio della compensazione ortopedica: manca qualcosa e metto una protesi, invece di guardare alla complessità del problema.
Quindi, da queste giornate convulse e frenetiche si deve puntare a uscirne con la coscienza e la presa di responsabilità che molto si deve ancora fare, che un nuovo processo è iniziato e non si può tornare più indietro.
Don Milani affermava: «Poi insegnando imparavo tante cose. Per esempio ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Uscirne tutti insieme è la politica».