Scuola: il diploma in 4 anni
Aveva iniziato il ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer a parlare di riforma dei cicli di studio: sette anni in totale per la scuola primaria e media e, in tal modo, la scuola secondaria di secondo grado sarebbe iniziata un anno prima, permettendo agli alunni di giungere al diploma in linea con gli altri Paesi europei.
Il nodo cruciale della nostra scuola è rappresentato in effetti dal gap che esiste nel passaggio tra un ciclo di istruzione e l’altro. Dati alla mano, viene dimostrato come il tasso di dispersione scolastica (abbandono, pluriripetenze, insuccesso scolastico in genere) va aumentando man mano che si accede al ciclo superiore di studi. Quasi inesistente alla scuola primaria, la dispersione scolastica inizia ad aumentare alle medie e di seguito alle scuole superiori.
La nuova riforma annunciata dal ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli è quindi frutto di anni di tentativi di riordinare un sistema, proveniente dall’impianto gentiliano, non certamente adeguato alle profonde trasformazioni di questi ultimi anni.
Dare la possibilità a 100 istituti di poter progettare un percorso educativo innovativo è senza dubbio una scommessa da saper cogliere: lasciare libertà di azione a chi vive quotidianamente nel proprio territorio, con un know how specifico di quella regione e di quel luogo, rappresenta un tentativo audace per rimettere al centro del sistema scolastico l’innovazione al servizio dei nostri ragazzi.
Fino ad oggi sono 12 le scuole che hanno sperimentato percorsi quadriennali. Ma entriamo nei dettagli della sperimentazione: il decreto, che sarà pubblicato alla fine del mese di agosto, prevede che a partire dall’anno scolastico 2018-2019, 100 classi di altrettante scuole di istruzione di secondo grado potranno avvalersi di percorsi di studio pianificati su 4 anni. Le scuole, Licei e Istituti Tecnici, potranno fare domanda dall’ 1 al 30 settembre, presentando un proprio progetto che verrà valutato da una Commissione tecnica, mentre gli esiti della sperimentazione verranno valutati annualmente da Commissioni scientifiche regionali che invieranno i risultati alla Commissione scientifica nazionale.
Il piano nazionale di sperimentazione stabilisce che i progetti, presentati dalle scuole interessate, dovranno contenere un livello molto alto di innovazione e le classi non dovranno superare il numero di 25 alunni. In caso di richieste eccedenti al numero richiesto, l’Istituto dovrà compiere una selezione degli allievi.
Non ci sarà alcuna riduzione dei programmi, si parla di 5 anni in 4, il monte ore dovrebbe rimanere uguale a quello attuale con un potenziamento dell’orario. I piani di studio verranno pertanto rimodulati mettendo in primo piano le ultime tecnologie didattiche e metodologie di apprendimento: laboratori, Clil – lo studio di una disciplina in lingua straniera, orientamento per il mondo del lavoro e studi accademici.
Sui social è già allarme rosso: docenti, dirigenti e alcuni sindacati considerano la sperimentazione del diploma “breve” un inutile investimento di risorse e una scorciatoia per riallinearsi all’Europa. E dopo il diploma? Bisogna guardare anche ai dati Eurostat che purtroppo non sono confortanti: siamo al penultimo posto in Europa per numero di laureati e sarebbe legittimo porsi delle domande sulla validità del 3+2, le cosiddette lauree brevi e magistrali, iniziate in via sperimentale nel 2000 proprio con Berlinguer. Nel 2015 erano quasi 23 mila i giovani laureati e 52 mila con un diploma o licenza media, in fuga specialmente dal Sud del Paese per cercare un futuro all’estero.
Ben venga la sperimentazione, sebbene soltanto rivolta ad un settore della scuola, ma forse servirebbe davvero una riflessione ampia e condivisa sul sistema scolastico, un grande piano “Marshall” per i nostri giovani che ridarebbe le ali al nostro sistema di istruzione e a reali sbocchi occupazionali.